Per un lavoro decente

In una fase in cui il lavoro sta subendo e continuerà a subire profonde trasformazioni, mi sembra opportuno dedicare qualche riflessione sul ruolo che il lavoro dovrebbe continuare ad assolvere.

Innanzitutto nell’assicurare un senso di vita per la persona, per la dignità della persona, come sempre viene affermato, in particolare nei documenti della Dottrina Sociale della Chiesa, ma non solo, fino ai più recenti e molteplici pronunciamenti di papa Bergoglio. Che nella Fratelli tutti afferma che “il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo per guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili”.

Gli interventi di promozione degli investimenti essenzialmente volti anche a creare lavoro, fronteggiando la disoccupazione, possono costituire già un mezzo per assicurare dignità alle persone che vi potranno accedere, tenendo però presente che la remunerazione salariale che viene corrisposta può costituire solo una delle condizioni per un lavoro dignitoso.

Perché diverse sono le condizioni che configurano un lavoro “dignitoso”, secondo le indicazioni della Laboremexercens, o un lavoro “decente” come indicato nell’appello lanciato dallo stesso Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo dei lavoratori (1° maggio del 2000). Indicazioni riprese ampiamente da Benedetto XVI nella Caritas in veritate, dove spiega puntualmente cosa significa la parola “decenza” applicata al lavoro, elencando una serie di condizioni, fino a quella di “un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa” (n. 63).

Per un lavoro dignitoso, e quindi decente, è impegnata anche da tempo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) attraverso il progetto “Decent work” al cui interno si afferma che ”oggi l’obiettivo primario dell’ILO è garantire che tutti gli uomini e le donne abbiano accesso ad un lavoro produttivo, in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana”.  Anche in ambiti politico-culturali si intensificano richiami a “Lavorare per vivere in dignità”(Radicalità perricostruire, Gianni Cuperlo), perché ciascuna persona “abbia un’occupazione, un contratto riconosciuto e scortato da tutele nella difesa del posto di lavoro, nella sicurezza sociale, nell’assistenza in caso di malattia, in ogni altro diritto connesso allo status di lavoratore dipendente o autonomo”.

Solo un lavoro “dignitoso”, in sostanza, può dare senso. Soprattutto perché “mediante il lavoro l’uomo realizza se stesso come uomo e diventa più uomo” (Laboremexercens, n. 9).

Ma dobbiamo prepararci ad un futuro in cui forse il lavoro potrebbe perdere alcune delle condizioni che determinano la piena dignità del lavoratore.

In questo tempo di cambiamenti della natura stessa del lavoro, per effetto dello sviluppo del digitale e dell’introduzione delle tecnologie dell’intelligenza artificiale, che impatteranno sull’organizzazione del lavoro e sul versante delle competenze, i posti di lavoro subiranno conseguenti cambiamenti, dovendosi riadattare al rapido sviluppo delle tecnologie. E richiederanno anche ai lavoratori un continuo aggiornamento per mantenere la capacità di svolgere il lavoro richiesto e con il rischio di emarginazione di quei lavoratori, soprattutto più anziani, che non riusciranno ad adattarsi.

Si lavorerà, forse, essenzialmente per guadagnare, eseguendo una pluralità di lavori, con contratti anche individuali, sganciati dal tempo e dal luogo di esecuzione ma legatiai risultati, che potranno indurre a dare meno importanza al lavoro come soddisfazione personale, da ricercare altrove.

Dignità del lavoro e rispetto dei diritti dei lavoratori non appaiono conquiste scontate, per cui saranno necessari nuovi strumenti di tutela.

Alvaro Bucci