RICORDI PRESIDENZIALI. ENRICO DE NICOLA

di Maurizio Terzetti / L’Italia ha avuto 11 Capi di Stato dal 1948 ad oggi. Mentre si preparano i giorni caldi dell’elezione del successore di Giorgio Napolitano, “Umbria Domani” offre alcune brevi monografie degli undici inquilini del Quirinale, traendole da elementi di documentazione diretta consistenti o in testi di commemorazione o in discorsi degli stessi Presidenti, in prevalenza i loro messaggi di fine d’anno.

Fonti spesso non più citate, se non proprio dimenticate.

Enrico De Nicola, il primo Capo dello Stato, non ha mandato messaggi di fine d'anno, per lo meno nel sito del Quirinale non ne risultano. Così ho scelto di pubblicare la commemorazione che il Presidente del Senato, Cesare Merzagora, fece dello statista l'indomani della sua scomparsa, nel 1959.

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Cesare Merzagora, Presidente

"PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea).
Onorevoli senatori,
Enrico De Nicola rappresenta cinquanta anni di vita politica e parlamentare italiana.
Laureato in giurisprudenza a soli diciannove anni, alla professione - meglio diremo, alla vocazione - di avvocato, nella quale eccelse, restò fedele per tutta la vita sì da farne suo più geloso vanto.
Ancora giovanissimo, fu deputato per quattro consecutive legislature e, a 36 anni, ebbe le prime brevi responsabilità di Governo come Sottosegretario alle Colonie nel Gabinetto Giolitti e, successivamente nel 1919, come Sottosegretario al Tesoro nel Gabinetto Orlando. Quattro volte fu sollecitato ad assumere l'incarico di Presidente del Consiglio, ma ogni volta lasciò cadere l'invito.
Presidente della Camera dei deputati dal 1920 al 1923, nel turbinoso periodo in cui maturarono gli eventi che dovevano condurre al dissolvimento delle istituzioni democratiche, quando la libertà del Parlamento fu soppressa, Egli si ritirò in silenzio. Eletto ancora una volta deputato nel 1924, per la XXVII legislatura, rifiutò il mandato: nominato senatore del Regno il 2 marzo 1929, non prese mai parte ai lavori dell'Assemblea. Tornò sulla scena politica, come protagonista di primissimo piano soltanto nel 1943, e si deve infatti al suo acume giuridico la soluzione della Luogotenenza che valse a risolvere la delicata crisi costituzionale apertasi dopo l'8 settembre.
Capo provvisorio dello Stato all'indomani del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, nei drammatici giorni della ricostruzione materiale e morale del Paese e della riedificazione dello Stato democratico, fu consigliere prudente ed assiduo del Governo, maestro e sprone della Assemblea Costituente, vivente modello di operosità e di probità per tutti i cittadini, travagliati da una crisi senza precedenti. Enrico De Nicola seppe dare allora, agli italiani e all'estero, la massima fiducia nelle possibilità di ricostruzione del Paese e nel consolidamento del nuovo ordinamento democratico e repubblicano.
La sua presenza discreta e, appunto per questo, autorevole e operante, rappresentò in quell'ora grave, densa di problemi e di difficoltà, il punto fermo intorno al quale si svolse l'attività di tutti gli organi dello Stato. Egli creò uno stile ed una prassi e fu sempre al di sopra di ogni lotta politica e di ogni interesse economico. Nella sua austera ma così umana figura, permeata di bontà e di dirittura morale, gli italiani ritrovarono il volto della giovane Repubblica ed impararono ad amarla.

Confermato all'altissimo ufficio il 26 giugno 1947, assunse, il 1° gennaio 1948, in virtù della prima disposizione transitoria della Carta Costituzionale, le attribuzioni ed il titolo di Presidente della Repubblica.

Presidente del Senato della Repubblica dal 1951 al 1952, negli anni in cui il nuovo Istituto parlamentare andava compiendo i suoi primi passi, l'inestimabile contributo recato da Enrico De Nicola alla vita e allo sviluppo dell'assemblea senatoriale è scritto in lettere d'oro nelle pagine della recente storia del Parlamento italiano.

Le sue dimissioni dall'alta carica, nel giugno 1952, se colpirono dolorosamente l'Assemblea, non la privarono peraltro del contributo della sua autorevole collaborazione.
Presidente della Corte costituzionale dal 1956 al 1957: anche in quell'occasione, il contributo dato da Enrico De Nicola alla riedificazione dello Stato democratico è stato inestimabile.
La Corte costituzionale fu da Lui diretta con assidua cura e grande decisione nei primi passi della sua faticosa organizzazione, ed ebbe un'impronta ed un avvio che ne assicurarono il successo ed il generale rispetto.

Dopo le sue dimissioni, fu riassunto nelle funzioni di senatore e tornò a far parte attiva della nostra Assemblea, riprendendo la sua naturale funzione di consigliere e di guida in materia costituzionale e regolamentare, mentre continuava a rivolgere il suo principale interesse agli studi ed ai dibattiti relativi alla forma alla riforma del Senato, alla quale egli, come Presidente della Commissione speciale, teneva in modo particolare.
Maestro di diritto e, prima ancora, di stile e di costume, Enrico De Nicola ha prodigato fino all'ultimo giorno della vita, le sue eccezionali doti di mente e di cuore al servizio della Patria e degli ideali della democrazia.

Considerando le sue note biografiche, sembra quasi impossibile che un uomo, nel corso di una pur lunga ed operosa esistenza, abbia potuto rendere al proprio Paese così cospicui servigi in occasioni tanto diverse ed in periodi così separati nel tempo.
Certo il segreto di questa prodigiosa vitalità, che seppe superare di volta in volta la asprezza dei compiti e fu sempre pervasa da un religioso senso di dedizione, non può che essere riposto nell'amore che Enrico De Nicola ebbe, in ogni istante della sua vita per la Patria "sempre considerata" - sono le sue commosse parole - "in mancanza della altra sacramentale, come la sposa teneramente e fedelmente amata".

Se il giurista ed il parlamentare si impongono alla generale ammirazione, veramente eccezionale rimane per noi il ricordo dell'Uomo e, come uomo di altissimo rango, Egli ha diritto ad una rievocazione fedele, senza veli e paludamenti che ne sfumerebbero il nobilissimo profilo.

Indubbiamente, la vita politica e le sue lotte, alle volte senza esclusione di colpi, non si addicevano al suo carattere.

Egli non voleva - direi che non poteva - avere nemici o avversari, e siccome le responsabilità dirette, le decisioni politiche provocano sempre, con i consensi, anche i dissensi, Egli preferiva consigliare, suggerire soluzioni e decisioni piuttosto che assumerle. Nato per mediare compromessi geniali di forma e di sostanza, fu insuperabile come consigliere di tutti, come Presidente di Assemblea e come Capo dello Stato, ma non volle mai essere il capo dell'esecutivo. E, siccome quando un uomo politico scompare, è sempre accompagnato da interrogativi ai quali soltanto la Storia può dare una risposta, noi ci possiamo oggi chiedere, per esempio: "Se De Nicola avesse accettato di reggere il Governo prima di Facta, anziché indicare Facta al Sovrano, quale sarebbe stato il corso della politica interna italiana?" Ma l'interrogativo cade, perché questa realtà non avrebbe mai potuto verificarsi.

De Nicola non fu Ministro, non fu capo partito; nessuna lotta politica o sindacale porta il suo nome: visse e morì senza aver mai attaccato nessuno, e le sue critiche, anche acerbe, erano sempre improntate alla più umana comprensione della posizione altrui.
De Nicola fu in politica quello che il suo temperamento gli consentiva di essere: e in ciò fu veramente grande. Conosceva se stesso meglio di ogni altro e, perciò, non usciva mai dalla sfera d'azione che Egli riteneva gli fosse congeniale. Aveva il culto dello stile e arrivò sempre alle più alte vette, disdegnando ogni manovra, con la stessa signorile dignità con la quale alle volte, anche bruscamente, ne discendeva.

Egli ambiva all'unanimità del consensi, e questo fu il limite naturale, direi fisiologico, della sua azione politica, del suo intervento negli affari determinanti del Paese.
Amava essere amato dagli italiani e, soprattutto, dalla sua Napoli che dette a lui, a "Don Enrico", la popolarità schietta e calda che soltanto il Mezzogiorno sa donare ai suoi figli migliori.
Più che mai Egli era fra noi un uomo d'altri tempi, con quelle sue manifestazioni ricche di umanità, di arguzia e di delicato tatto che la vita moderna sempre più tende a far cadere in desuetudine.
De Nicola, purtroppo, non lascia una messe copiosa di scritti, ma ci lascia il ricordo della sua vita che Egli seppe rendere meravigliosa anche nella tristezza della solitudine.
Egli non possedeva tutte le qualità che solitamente servono agli uomini politici per arrivare e che non sempre sono positive, ma si imponeva per il suo ingegno, per la sua formidabile memoria, per il culto delle sottigliezze procedurali fra le quali si muoveva da maestro, per lo scrupoloso rispetto della forma, per la chiarezza incisiva e martellante del ragionamento.
S'imponeva anche per la sua stessa ipersensibilità che lo faceva soffrire e faceva soffrire anche i suoi amici più intimi; per la sua signorile povertà, che nascondeva come avrebbe nascosto la ricchezza se l'avesse posseduta; per il suo rigorismo morale che non conosceva compromessi e, soprattutto, per la fierezza del suo carattere, indipendente, che gli lampeggiava a tratti nello sguardo come il bagliore di un faro.
Tutto ciò faceva di De Nicola un personaggio unico, inimitabile, che attirava attorno a sé colleghi ed amici e che il popolo, con la meravigliosa sensibilità che hanno le nostre masse, intuiva ed amava.

Il suo successo fu sempre frutto soltanto di queste sue doti e, in ogni occasione, De Nicola rimase fedele a se stesso, al protagonista eccezionale e ricorrente che egli era in tante fasi della vita politica italiana.

Con gli anni, certe sue qualità si esasperarono, ma ciò non mutò le caratteristiche dell'Uomo: anzi, ne incise con maggior vigore i tratti salienti nella nostra memoria.
Noi lo ricorderemo, quindi, non solamente come grande giurista, come parlamentare e Presidente insigne, ma anche come amico, come uomo, e quest'ultimo ricordo sarà sempre per noi un esempio luminoso di grande dirittura morale.
Ai familiari di Enrico De Nicola, agli abitanti di Torre del Greco, così ricchi di cuore e di poesia, alle città di Napoli e di Roma, che lo ebbero illustre Cittadino, vada il profondo cordoglio del Senato in lutto.

Perciò, mentre alla stima del popolo italiano e alla riconoscenza di questa Assemblea unisco la stima e la riconoscenza del Governo, chiedo che sia consentito di esprimere alla memoria di Enrico De Nicola il mesto rimpianto di chi come me ebbe l'onore di essergli amico”.

Senato della Repubblica. Atti parlamentari Resoconti stenografici, 6 ottobre 1959.

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