ASSALTO ALLA COSTITUZIONE

di Pierluigi Castellani

Si sta assistendo nel disinteresse dei più ad uno strisciante, quando non palese, attacco alla Costituzione, che va sempre ricordato delinea come colonna portante della democrazia il governo parlamentare, cioè espressione dei due rami del parlamento in cui risiede la rappresentanza popolare da quando nella chiesa periferica di Putney i delegati dei soldati dell’esercito di Cromwell decisero, che era meglio delegare ad alcuni rappresentanti le decisioni perché tutti nella chiesa non era possibile entrare.  Quel modell0, resistito a secoli di storia, è diventato oramai desueto? Ora tutto deve essere sacrificato alla governabilità, ma fino a che punto, anche a costo della nostra libertà? Il recente episodio della blindatura  da parte della Meloni della difficile intesa, raggiunta dopo giorni di frenetiche trattative tra le forze di governo, espropria il  ruolo del parlamento da un suo attento esame della legge di bilancio 2024 costringendo le forze di maggioranza a non presentare emendamenti e riducendo il ruolo  delle opposizioni  di effettivo stimolo e di critica. Chi ha memoria del passato, quando la legge di bilancio si chiamava finanziaria, si ricorda bene il faticoso lavoro del Parlamento, soprattutto nelle due commissioni bilancio, per varare sempre nei tempi, ma con duro confronto parlamentare, che coinvolgeva sia forze di maggioranza che di opposizione. Ora si vuole lanciare un messaggio chiaro: il governo del paese è assicurato dall’esecutivo, che lo esercita per diretta volontà popolare. I passaggi parlamentari , la cosiddetta navetta, il confronto con le forze sociali e produttive sono un doveroso rituale, ma non più appunto di un rituale. Del resto il messaggio si presenta ancor più chiaro dal momento che l’accordo blindato sulla manovra raggiunto dalle forze maggioranza è coinciso con un’altra e ben più pericolosa intesa, quella sulla riforma costituzionale all’insegna del premierato. Con questa riforma si vuole stravolgere l’assetto istituzionale del paese con l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, mettendo in ombra il Capo dello Stato ed i suoi poteri, relegando quindi il Presidente della Repubblica ad un ruolo meramente ornamentale e quindi togliendoli quel prestigio, che  secondo l’attuale Costituzione, è garanzia di tutti e  rappresenta l’unità della nazione. Con l’ipotizzato premierato il Parlamento diventerebbe  l’ancella del capo del governo senza più quel potere di controllo e di indicazione ora assicurato. Ma Meloni vorrebbe addirittura quel simul stabunt simul cadent  che lega la vita del Parlamento alla vita stessa del premier, per cui nel caso di dimissioni del premier o di sua caduta decade anche il Parlamento secondo quella formula, cara a molti, del sindaco d’Italia, che sarebbe davvero un attacco devastante al principio democratico secondo il quale sta nel Parlamento la garanzia di ogni libertà. Per attenuare queto effetto si vorrebbe proporre una norma cosiddetta antiribaltone, che costringerebbe le due Camere ad eleggere un nuovo capo dell’esecutivo all’interno della medesima maggioranza ,che aveva espresso il premier eletto direttamente. In questo modo sono devastati quei pesi e contrappesi che sono garanzia di ogni democrazia e ciò dovrebbe comportare un ridisegno completo della carta costituzionale con le conseguenze che sono immaginabili. Il tutto naturalmente comporta una nuova legge elettorale, che secondo il progetto meloniano dovrebbe assicurare il 55% del Parlamento al vincitore senza indicare  una soglia minima da raggiungere per assicurarsi il premio. Anche il dettaglio, che sembrerebbe secondario, dell’abolizione dei senatori a vita nominati dal Capo dello Stato sta  ad indicare la scarsa considerazione in cui la destra tiene il Parlamento. I senatori a vita, scelti tra coloro che hanno meritato per il loro apporto dato al paese, dovrebbero rappresentare il fiore all’occhiello  dell’istituzione parlamentare , dando così prestigio alla medesima istituzione. Togliere i senatori a vita è la spia con la quale si comprende la scarsa considerazione che la destra ha per questa istituzione, che non rappresenterebbe più l’eccellenza del paese, ma un inutile ornamento dell’esecutivo. Pensare che un paese è democratico solo perché elegge il Capo del governo significa ignorare pagine e pagine della storia della democrazia. Gli italiani consentiranno tutto questo ? Mi auguro che il necessario passaggio referendario, una volta approvata dalle camere la riforma della destra, faccia rinsavire quanti ora appaiono disinteressati all’argomento e sbarri la strada alla medesima riforma.