LA SCOMMESSA DELLA SINISTRA

di Pierluigi Castellani

Nel dibattito che si sta sviluppando intorno alla rifondazione della sinistra, accentuatosi dopo l’elezione a segretaria del PD di Elly Schlein, non ci si sta interrogando seriamente su come la sinistra ed in particolare il PD possa offrire una credibile alternativa al governo della destra. Si sta cercando di recuperare il tradizionale voto dei ceti popolari senza chiedersi seriamente, che cosa vorrebbe veramente quel bacino elettorale una volta serbatoio dei voti del centrosinistra. Rifondare la sinistra va bene, ma per fare che? O la sinistra è anche sinistra di governo o rimarrà sempre minoritaria nel nostro paese in cui vaste sono le zone della società refrattarie ad essere relegate nel ghetto di una perenne minoranza. La parola d’ordine fino ad ora, lo si veda anche nel nuovo corso del movimento 5Stelle di Giuseppe Conte, è quello di assumere un genuino profilo di sinistra e questo sta avvenendo anche nel PD a guida Schlein impegnato a riappropriarsi di temi simbolicamente attribuibili alla sinistra come quello dei diritti o estremizzando bandierine identitarie capaci di animare le piazze. Invece dovrebbe essere obbiettivo prioritario la ricomposizione di un largo blocco sociale, che sia in grado di unire quanti, ora sfiduciati, aspirano ad un progetto politico capace di dare fiducia e speranza ad un paese stanco ed annoiato, che non crede più alla politica come strumento di rinnovamento e rifondazione sociale. O l’obbiettivo della sinistra e dei suoi eventuali alleati è quello di riconquistare il governo del paese oppure Giorgia Meloni, pur con le contraddizioni e le divisioni che convivono all’interno della sua maggioranza, sarà destinata a governare l’Italia ancora molti anni. Se ci fosse una maggiore attenzione allo studio della storia , anche recente, del nostro paese non sarebbe difficile accorgersi che il frangente, che stiamo ora vivendo, non è poi dissimile da quello che l’Italia ha vissuto nella metà degli anni novanta del secolo scorso. Anche allora i progressisti, l’alleanza guidata da Occhetto, fu sconfitta e la politica italiana fu sorpresa dall’ improvviso exploit di Silvio Berlusconi, che aveva invece capito più di altri che cosa si nascondeva nella pancia del nostro paese dopo la fine della cosiddetta prima repubblica. Dopo il disorientamento che ne seguì non si perse troppo tempo a chiedersi quale fosse il dna identitario di una sinistra dura e pura, non ci si attardò a rincorrere temi di un radicalismo chic, perennemente minoritario, e non ci si affidò ad una leadership tradizionalmente di sinistra, ma si cercò nella novità dell’Ulivo e nella leadership di Romano Prodi il punto intorno al quale coagulare una coalizione di centrosinistra, capace di offrire un credibile progetto di governo, che risvegliasse gli elettori dal torpore in cui erano stati immersi dagli slogan propagandistici del berlusconismo, che dopo tanti anni dalla caduta del muro di Berlino aveva riscoperto, niente che di meno, l’anticomunismo. Romano Prodi non si attardò a fronteggiare il centrodestra con una serie di no all’agenda di quel governo, ma seppe ridare entusiasmo e desiderio di politica a quanti di sinistra o non volevano un’Italia migliore. Intorno a questo progetto si ritrovarono segmenti diversi della società del paese, che non volevano vivere rassegnati osteggiato di una politica enfatizzata dalla grancassa mediatica, che Berlusconi aveva messo in campo. Non semplici parole d’ordine, non vuoti slogan propagandistici, ma un serio progetto di governo per un’Italia migliore di quella offerta dai media eterodiretti o dalla stampa patinata di certe riviste. Così nacque un centrosinistra vincente, senza trattino, così si visse  il sogno di un partito a vocazione maggioritaria, che fosse espressione di un blocco sociale oltre i limiti di una tradizionale forza di sinistra. In questo modo fu sconfitto due volte il berlusconismo, così furono offerti al paese anni di governo, che hanno portato l’Italia nell’euro ed al risanamento del bilancio ed all’ avvio di riforme, che hanno ammodernato il paese in suoi importanti asset produttivi. Certamente fu una stagione che durò poco, ma che ebbe termine proprio dalla litigiosità della sinistra e dal suo perenne rincorrere una purezza identitaria. Ora si vuole trarre insegnamento da quell’esperienza e si vuole approfittare anche della cultura di governo da allora acquisita? Chi non sa trarre ammaestramento dalla propria storia è destinato a riviverla tragicamente. Se c’è ancora una scommessa che la sinistra deve affrontare non è quella di continuare a piantare bandierine identitarie in una perenne e fratricida concorrenza bensì quella di offrire generosamente una diversa idea e capacità di governo senza la quale non si rianimano i delusi, né si offre ai giovani una speranza per un’Italia migliore, appunto quell’ ” Italia che vogliamo”.