LO SCIOPERO GENERALE E L’UNITA’ SINDACALE

di Pierluigi Castellani

La proclamazione dello sciopero generale per il prossimo 16 dicembre da parte della CGL e dell’UIL senza la Cisl ha destato sconcerto e preoccupazione da parte del governo e della politica italiana. E’ pur vero che il sindacato deve tener soprattutto conto della difesa degli interessi dei lavoratori, ma la situazione in cui si trova il paese, ancora in piena emergenza da covid-19 e con una ripresa economica, che va pure stimolata ed accompagnata, e con un governo nato dalla eccezionalità della pandemia con una maggioranza non omogenea politicamente è difficile che possa esserci maggiore attenzione per le parti sociali rappresentate dalle sigle sindacali che hanno proclamato lo sciopero generale. E’ senz’altro vero che sul piano redistributivo e dell’uguaglianza sociale si poteva fare di più, ma con un governo con una parte consistenza della maggioranza che si oppone anche alla misura proposta da Draghi di sterilizzare temporaneamente il beneficio fiscale per i contribuenti con oltre 75.000 euro di reddito è difficile che si poteva fare diversamente. Basti pensare che da parte degli oppositori alla proposta del capo del governo (FI, Lega +  una inusitata IV) si è gridato allo scandalo perché si sarebbero messe le mani nelle tasche degli italiani quando invece non si trattava di un prelievo ma di un rinvio del beneficio derivante dal passaggio da 5 aliquote fiscali a quattro e quindi nessuna maggiore tassazione. Ed allora quando alcuni membri del governo si mettono contro una proposta del presidente del consiglio Draghi avrebbe dovuto dare le dimissioni per coerenza con la sua proposta in una situazione così difficile per il paese e nel semestre bianco in attesa della elezione del nuovo presidente della repubblica? Si voleva forse questo da parte di Landini e Bombardieri ? Credo di no, ed allora la proclamazione dello sciopero sembra prendere di mira proprio la figura di Mario Draghi. Un sindacato moderno, soprattutto confederale, che dovrebbe tener conto anche dell’interesse generale del paese non può non calcolare le conseguenze politiche delle sue azioni in un situazione di emergenza come questa. E poi c’è la conseguenza della rottura dell’unità sindacale. La storia del nostro paese dice che, quando con l’unità i sindacati si sono rafforzati, allora sono riusciti ad incidere più profondamente nelle politiche dell’Italia. Ora questa strada sembra sia stata abbandonata nonostante le dichiarazioni postume di Landini, che assicura il non abbandono del dialogo sociale. Forse la verità risiede nel fatto che c’è una divergenza sul ruolo che il sindacato deve avere in una società complessa come la nostra. Infatti nella presa di posizione della CGIL e dell’UIL c’è ancora il retaggio di un sindacato comunque antagonista, che non intende assumersi le responsabilità che derivano dal far parte di una comunità di interessi variegata ed articolata di cui tener conto. E c’è anche il fatto che nella manovra di bilancio non c’è  solo la modifica delle aliquote fiscali, ma anche altre misure che vanno nel senso redistributivo reclamato. Come riporta il Corriere della Sera del 9 dicembre un operaio di Pomigliano d’Arco, che sa far di conto, ha calcolato che tra il beneficio del passaggio dell’aliquota dal 27% al 25%, l’assegno unico per il figlio, il ridisegno della tassa regionale, in busta paga alla fine dell’anno si troverà 700 euro in più. E poi c’è da aggiungere anche il reddito di cittadinanza, che è pure una misura redistributiva. E’ certo che si poteva fare di più, ma ci vorrebbe un governo con una omogenea maggioranza di centrosinistra ed allora anche gli lettori del nord Italia con in tasca la tessera della CGIL dovrebbero interrogarsi, forse autocriticamente, su chi hanno riversato il loro voto nelle scorse elezioni politiche.