A Palazzo Cesaroni la Conferenza regionale dell’economia e del lavoro: cresce l’occupazione, ma servirebbero più investimenti

PERUGIA – La Conferenza regionale dell’economia e del lavoro è iniziata a Palazzo Cesaroni (Perugia) con i saluti della presidente dell’Assemblea legislativa dell’Umbria, Donatella Porzi. Prima dell’avvio del dibattito si sono svolte le relazioni di Bruno Bracalente e Alessandro Montrone (UniPg) “Produttività e redditività delle imprese umbre nell’Italia di mezzo”, Luigi Rossetti (Regione Umbria) “Il mercato del lavoro in Umbria nel 2017”, Alberto Cestari (Centro studi Sintesi) “Il valore delle piccola impresa in Umbria” e Fabio Paparelli (assessore regionale sviluppo economico) “Scenari di politiche industriali per lo sviluppo dell’Umbria”.

È un quadro economico-occupazionale in movimento, quello che emerge dai primi contributi e relazioni che hanno aperto i lavori della Conferenza che ha registrato una significativa presenza di rappresentanti di forze imprenditoriali, sociali, sindacali e istituzionale. Un quadro, quello umbro, caratterizzato da segnali di ripresa e di positivo dinamismo, con nodi di carattere strutturale da sciogliere, e in un contesto globale che richiede qualità, innovazione e nuovi modelli di organizzazione del lavoro.

IMG_2948Donatella PORZI (presidente Assemblea legislativa dell’Umbria): “Con questa Conferenza vogliamo offrire alle forze sociali, economiche e istituzionali un’ulteriore OCCASIONE PER UN AMPIO CONFRONTO sulla situazione economico-occupazionale dell’Umbria, sui punti di forza e sulle criticità. Per verificare se vi sono le condizioni per costruire ulteriori contributi allo sviluppo che mettano insieme le esigenze dell’impresa, quelle del mondo del lavoro e dell’intera comunità umbra. L’Assemblea legislativa ha chiamato a discutere e confrontarsi la parte vitale e dinamica della comunità regionale sui nodi da sciogliere e sulle opportunità da cogliere e sviluppare. Per cercare di costruire insieme scelte, indirizzi e proposte cui dare un esito istituzionale concreto, attraverso leggi e atti di programmazione sempre più adeguati”.

Bruno BRACALENTE e Alessandro MONTRONE (Università degli Studi-Perugia): “PRODUTTIVITÀ E REDDITIVITÀ DELLE IMPRESE UMBRE NELL’ITALIA DI MEZZO” IL CONTESTO. Dalle analisi dei livelli di produttività delle imprese umbre rispetto all’area di riferimento (Toscana, Umbria, Marche: Tum) emerge che esse risultano sbilanciate verso le classi a minore produttività. Un problema è generale ma più rilevante nell’industria manifatturiera e meno nel comparto dei servizi. Tra le novità positive degli ultimi anni, si registra la crescita della produttività. A confronto con la naturale area di riferimento dell’Umbria, ovvero la macro area centrale del Paese costituita, oltre che dall’Umbria, dalla Toscana e dalle Marche, i progressi compiuti riguardano in particolare l’industria manifatturiera. Rispetto al rapporto tra produttività e redditività, in Umbria una quota consistente di imprese consegue elevati risultati reddituali puntando prevalentemente sul contenimento dei costi dei fattori produttivi e su una più favorevole distribuzione del valore aggiunto prodotto, e spesso anche su una più oculata gestione non caratteristica, piuttosto che sulla produttività ed efficienza aziendale nella attività produttiva. Le imprese umbre, anche quelle eccellenti, investono poco, in media, in asset strategici per la competitività aziendale quali marchi, brevetti, ricerca e sviluppo. Nelle tre regioni del Centro Italia l’appartenenza alle classi superiori di produttività-efficienza risulta in genere indipendente dalla dimensione media in termini di dipendenti, sia nell’industria manifatturiera che nei servizi tradizionali, mentre una connessione positiva si osserva nel comparto dei servizi alle imprese, dove la scala di produzione di alcuni servizi spesso determina anche la loro qualità. Nella industria manifatturiera l’Umbria presenta una relazione tra produttività e dimensione d’impresa poco in linea con l’area di riferimento. Più che un problema di scarsa dimensione aziendale, tra le imprese eccellenti della regione vi è forse un problema di scala di produzione eccessiva rispetto a quella tecnicamente efficiente. Questo può essere ricondotto alla conformazione di un sistema produttivo che privilegia imprese che tendono a integrare al loro interno processi produttivi anche complessi, e quindi a una specializzazione produttiva non sufficientemente spinta, a differenza delle imprese tipiche dei sistemi distrettuali fondati sulla integrazione di fasi produttive specializzate facenti capo a imprese diverse. Le imprese umbre a bassa produttività, oltre ad essere proporzionalmente troppo numerose, sono anche mediamente più fragili e quindi maggiormente esposte al rischio di uscire dal mercato.

POSSIBILI LINEE DI INTERVENTO potrebbero riguardare il RAFFORZAMENTO DEL MANAGEMENT, da cui dipende in misura determinante l’efficienza tecnica dei sistemi di produzione, la loro possibile evoluzione verso modelli più innovativi e competitivi, l’apertura al mercato globale. Risulterebbe positivo il rafforzamento della intensità di capitale, soprattutto per quanto riguarda le tecnologie dell’informazione e la componente immateriale. Sarebbero utili politiche rivolte al miglioramento della qualità dell’input di lavoro, con l’assunzione di nuovi profili professionali e la formazione specifica dei lavoratori occupati. Così come politiche di incentivazione della specializzazione produttiva mirate alla efficienza dei processi produttivi più che al generico rafforzamento dimensionale delle imprese. Andrebbero sostenute infine politiche di attrazione di investimenti che si pongano l’obiettivo di rafforzare l’integrazione produttiva con le imprese locali, di colmare alcuni vuoti o debolezze settoriali particolarmente rilevanti nel sistema produttivo regionale, in particolare nei settori manifatturieri a più alta tecnologia e in quelli dei servizi a maggiore contenuto di conoscenza”.

“Rispetto alla macroregione di riferimento Tum (Toscana, Umbria, Marche) in Umbria il manifatturiero è un settore meno presente (42 per cento rispetto al 69 della Tum), a vantaggio del terziario tradizionale, che è a minore valore aggiunto e che produce meno ricchezza netta (17 per cento della Tum contro il 12 in Umbria). Per il MANIFATTURIERO la dimensione non è un problema specifico delle nostre aziende. Il punto debole delle imprese umbre è il grado di materializzazione, e lo si vede da quanta parte degli investimenti durevoli sono in immobilizzazioni immateriali. La redditività è stata recuperata negli ultimi anni: l’incidenza del valore aggiunto rispetto al totale del valore della produzione è in progressiva crescita. C’è stato un PROGRESSO IN TERMINI DI PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO E DI PRODUTTIVITÀ DEL CAPITALE. Buona l’autonomia finanziaria.

Nel MANIFATTURIERO C’È STATO SVILUPPO MA NON C’È STATO MAGGIORE LAVORO: nel 2017 c’è lo stesso numero di imprese rispetto al 2016 (646 rispetto 675, -29 aziende) mentre gli occupati sono diminuiti di 4379. La distribuzione del valore aggiunto premia soprattutto i proprietari delle imprese (dall’11 per cento del 2016 al 18 per cento del 2017). Il valore aggiunto per dipendente da 66 euro del 2016 passa a 75 euro del 2017; la produttività del capitale valore aggiunto su capitale investito passa dal 23 al 26 per cento. Si potrebbe agire con politichee con misure di finanziamento agevolato ma selettive, potenziando la produzione in modo da incidere sulla produttività del lavoro in modo positivo.

In Umbra serve soprattutto la QUALITÀ DEL LAVORO MANAGERIALE, un’azione formativa mirata, una contrattazione integrativa che tenga conto dei progressi nel valore aggiunto per commisurare i cambiamenti di retribuzione per dipendenti. Nel 2017 c’è un progresso dell’Umbria pressoché in tutti gli indicatori, addirittura rispetto a una posizione di retroguardia sul Tum in tutti gli anni precedenti: con un recupero nel 2017 l’Umbria performa meglio della macroregione.

Per il TERZIARIO TRADIZIONALE in Umbria non c’è un problema specifico sotto il profilo dimensionale. La produttività del lavoro è nettamente inferiore. Il costo medio pro capite del lavoro è più basso. La produttività del capitale è inferiore. Più ridotta la capacità di creazione di valore aggiunto; meglio in termini di produttività, c’è uno scollamento tra produttività bassa ma redditività che regge. Malissimo in questo caso il grado di dematerializzazione.

Per il TERZIARIO AVANZATO, il profilo dimensionale ha qualche elemento di debolezza, non invece per numero di dipendenti, ma ci sono valori sottodimensionati per il valore della produzione. La produttività del lavoro è inferiore, il costo medio procapite è inferiore, la produttività del capitale è superiore. La redditività netta migliora nell’ultimo anno, in linea con quella operativa. Buona l’autonomia finanziaria. Il grado di materializzazione è molto sotto, e detto su un terziario avanzato è un elemento negativo. L’andamento è meno brillante di quello della manifattura. Qui serve molto un’azione formativa mirata, serve molto aumentare la capacità di aggiungere valore. Bisogna anche qui migliorare la qualità del lavoro, che servirà a organizzare meglio e posizionare meglio l’attività di queste aziende”.

Alberto CESTARI (Centro studi ‘Sintesi’) ‘IL VALORE DELLA PICCOLA IMPRESA IN UMBRIA’: “Le piccole e micro imprese (con meno di 10 dipendenti) rappresentano la base del sistema economico nazionale e quindi anche dell’Umbria. L’obiettivo della ricerca è quello di dare evidenza al valore economico della piccola impresa in Umbria. I settori presi in considerazione, riguardano: l’agricoltura e la pesca; manifattura e utilities; le costruzioni; il commercio; l’alloggio e la ristorazione; i trasporti , magazzinaggio e comunicazioni; servizi tradizionali; servizi innovativi; servizi alla persona e altri servizi. Tra il 2012 e 2017 l’Umbria ha perso quasi 2.900 imprese, con una contrazione del 3,5 per cento. Nel 2017 il 95,4 per cento delle imprese umbre ha meno di dieci addetti (percentuale leggermente superiore alla media tra Toscana, Umbria e Marche-TUM). Durante la crisi si è verificata la crescita di imprese dei servizi e dell’alloggio e ristorazione. Un rilevante calo ha riguardato le costruzioni (-12,8 per cento), l’agricoltura (-6,1 per cento), trasporti (-5,9 per cento) e la manifattura (-5,5 per cento). In Umbria, nel 2017, ad eccezione del manifatturiero (85 per cento), le imprese fino a 9 addetti superano ampiamente il 90 per cento del totale in tutti settori. Considerando l’aggregato del commercio e turismo emerge una tenuta rispetto al 2012. Nel complesso, questi settori valgono il 32 per cento delle imprese umbre. In Umbria il 26 per cento delle imprese attive è artigiana. Costruzioni (72 per cento), manifatturiero (65 per cento) e servizi alla persona (60 per cento) hanno la maggiore concentrazione di imprese artigiane. Nel corso del 2017 in Umbria sono nate 5.269 imprese di cui 5264 con meno di 9 addetti, si tratta tuttavia di un valore inferiore rispetto al 2012. In Umbria la flessione del numero di nuove imprese (-3 per cento) risulta essere meno negativa rispetto al -11per cento registrato a livello TUM. Il numero di occupati in Umbria tra il 2012 ed il 2017 ha fatto registrare una crescita dello 0,5 per cento. Per quanto concerne invece l’industria (edilizia compresa) si è verificato un calo dell’11,8 per cento, per il commercio e turismo il calo è stato dell’8,1 per cento. Segno positivo per l’agricoltura (+37,6 per cento) e altre attività dei servizi (+10,6 per cento). Presso le micro imprese umbre lavora il 52 per cento degli addetti . Nelle imprese di minore dimensione la flessione degli addetti (-5,7 per cento) risulta essere meno negativa rispetto al trend generale. Tra il 2012 ed il 2016 l’Umbria ha perso circa 15mila addetti. Tutti i settori risultano in flessione, eccetto i servizi tradizionali, innovativi e alla persona. Anche per il numero di dipendenti si registra una flessione tra il2012 ed il 2016 (-7,1 per cento). Tuttavia, a differenza di quanto evidenziato per gli addetti, relativamente ai dipendenti sono le imprese più piccole a manifestare la contrazione maggiore (-7,9 per cento). Rispetto ai dati 2017 di Unioncamere-Excelsior le imprese umbre hanno un fabbisogno di assunzioni stimato in circa 50mila unità. Il 42 per cento di tale fabbisogno è imputabile alle imprese con meno di 10 dipendenti (20.680 unità). Dall’ultima rilevazione dell’Istat, il valore aggiunto delle imprese umbre (totale industria e servizi) risulta essere pari a 8,5 miliardi di euro. Le imprese con meno di 10 addetti rappresentano il 38,3 per cento del valore aggiunto totale a livello regionale, vale a dire 3,2 miliardi di euro. Se si considera il valore aggiunto per addetto il quadro cambia: prevale l’industria e le imprese di maggiore dimensione. l’Umbria con 32.662 euro per addetto, si colloca al di sotto della media TUM. Rispetto alla dinamica dei prestiti alle imprese, se si considerano quelli al netto dei crediti in sofferenza, emerge un quadro ancor più preoccupante: in Umbria la flessione è del 21,1 per cento. Le più penalizzate sono le imprese con meno di 20 addetti (quasi un terzo in meno). In un quadro di sintesi finale della micro impresa (meno di 10 addetti) in Umbria emerge che le imprese attive sono 76.585 (95,4 per cento), gli addetti sono 119.421 (52 per cento), il valore aggiunto equivale a 3,2 miliardi di euro (38,3 per cento), le assunzioni previste sono 20.680 (42 per cento)”.

Luigi ROSSETTI (direttore regionale attività produttive) “IL MERCATO DEL LAVORO IN UMBRIA NEL 2017 – Tra il 2008 e il 2014 si è registrata una contrazione occupazionale (-18mila unità) e una crescita della disoccupazione (da 18 a 44mila unità). Nel 2015 c’è stata una importante crescita dell’occupazione (+11mila) mentre nel 2016, a seguito principalmente dell’evento sismico, si è registrata una nuova flessione dell’occupazione (-6mila unità). Nel 2017 l’occupazione ha avuto una lieve ripresa, ma gli effetti della crisi e delle conseguenze del terremoto sono ancora visibili. Nel 2017 è cresciuto il numero degli occupati nei servizi (+5mila) e in agricoltura (14mila). Si è registrato invece un calo nelle costruzioni (- 2mila), nel manifatturiero (-2mila) ma anche nel commercio (alberghi e ristoranti, -2mila), comparto colpito dagli effetti post sisma. L’occupazione autonoma è scesa a quota 85mila (-6mila) mentre l’occupazione alle dipendenze è risalita a quota 269.000 (+6mila): al suo interno aumenta la componente a termine (+8mila), raggiungendo una quota del 16,7percento, una quota superiore alla media nazionale (15,4). La disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è scesa al 30,8 percento (-2,3 punti) mentre quella dei giovani tra i 15 ed i 29 anni è scesa al 25,9 percento, un dato intermedio tra quello del Centro (24,3 percento) e quello nazionale (26,7percento). Nel secondo trimestre del 2018 il mercato del lavoro umbro mostra segnali positivi: crescita dell’occupazione di 5mila unità (+1,5 per cento) che arriva a quota 358mila, e una marcata flessione della disoccupazione con con meno 6mila unità scende a quota 35mila (-14,9 per cento), con una diminuzione maggiore di quella nazionale (-1,2 per cento). Si sono registrate oltre 46mila assunzioni, con una crescita quasi doppia rispetto alla media nazionale e che ha riguardato in misura importante le assunzioni stabili. La crescita dell’occupazione risulta prodotta dal commercio (alberghi bar e ristoranti, +5mila), dall’agricoltura (+4mila), dalle costruzioni (+3mila) e in minor misura dai servizi (+mille). Infine i dati Inps rilevano che nel primo semestre 2018 la crescita del tempo indeterminato, in Umbria, è la più elevata del Paese, così come l’incremento dell’apprendistato.

Fabio PAPARELLI: “SCENARI DI POLITICHE INDUSTRIALI PER LO SVILUPPO DELL’UMBRIA” – Il SOSTEGNO AL LAVORO, ALLE DINAMICHE DELL’INNOVAZIONE E DELLA SOSTENIBILITÀ, LA RICERCA DI PIÙ ALTI LIVELLI DI PRODUTTIVITÀ, L’ATTENZIONE ALLE PICCOLE IMPRESE, definiscono l’esigenza di un modello umbro frutto di una visione condivisa che la Regione vuole promuovere e sostenere con interventi ed investimenti adeguati, in accordo e con il coinvolgimento attivo delle forze sociali, in grado di assicurare la realizzabilità della nuova prospettiva di crescita dell’Umbria, utilizzando al meglio gli strumenti oggi a disposizione e programmando la fase 2021-27, orientando le risorse comunitarie per far si che si velocizzi il cammino lungo la strada delineata.

È necessario costruire un NUOVO PATTO PER IL LAVORO E LA CRESCITA DELL’UMBRIA, dove ciascun attore possa fare la propria parte, rispetto ad una visione condivisa dello sviluppo regionale. La crescita e lo sviluppo di un sistema territoriale non dipendono solo da ciò che si è in grado di fare all’interno di esso ma sono interdipendenti da ciò che accadrà in Italia ed in Europa. Una strategia territoriale efficace non può prescindere da una visione di scenario di medio-lungo periodo e dal fatto che siano, coerentemente, compiute delle scelte mirate e concrete, investendo sulle eccellenze e sulle competenze presenti sul territorio e rimuovendo, al contempo, i fattori che inibiscono la valorizzazione del pieno potenziale. Si devono individuare priorità d’azione, chiare e limitate nel numero, innovative. Per perseguire scelte di politica industriale e di sviluppo è necessario avere una visione dello sviluppo dell’Umbria da tradurre in obiettivi chiari e misurabili; intervenire sul miglioramento delle condizioni dell’Umbria per la gestione dell’economia ed in particolare per riguadagnare posizioni sul tema della produttività; attuare un mix coerente di misure orizzontali aventi la massima ampiezza possibile ed in grado di attivare fattori abilitanti di natura sistemica per il sistema produttivo nel suo complesso; attuare misure verticali in grado di supportare la parte più avanzata del sistema produttivo verso prospettive di crescita.

La visione dell’Umbria del futuro deve ruotare intorno ad INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ, che punti alla compatibilità tra cultura, turismo e manifattura. Fare dell’Umbria la regione che coniuga al più alto livello innovazione e sostenibilità è il contenuto di questa visione che è in grado di cogliere il senso del futuro e delle opportunità di cui lo stesso è portatore per imprese e persone. Dobbiamo affrontare il tema per cui l’ambiente diviene di per se paradigma e non condizionalità di sviluppo, grazie alla introduzione dei principi della economia circolare nei processi produttivi, a partire dalla progettazione e dalla ricerca per approdare fino al termine del ciclo di vita dei prodotti.

Bisogna SUPERARE I NODI STRUTTURALI DEL SISTEMA ECONOMICO REGIONALE per andare nella direzione di rafforzare le azioni sul tema della produttività del sistema economico regionale, per creare sviluppo avanzato e prospettive occupazionali. Innalzare la produttività significa infatti anche porre le condizioni per progredire anche verso modelli che fanno dell’economia digitale, dell’ambiente e dell’economia circolare la nuova frontiera della crescita. Innalzare la produttività totale dei fattori richiede un approccio di sistema che parta dal livello nazionale, utilizzando le risorse per abbattere il cuneo fiscale e favorire nuove assunzioni, defiscalizzare la produttività del lavoro e gli investimenti, rafforzare le infrastrutture e incidere su temi quali l’efficienza della PA, la semplificazione delle procedure e i tempi della giustizia. Necessario continuare ad aggredire i fattori strutturali che impediscono alla nostra produttività ed al sistema delle imprese di crescere, concentrando politiche e strumenti su alcuni macro obiettivi: sostenere innovazione tecnologica, ricerca e sviluppo; migliorare l’allocazione del capitale finanziario e innovare le modalità di gestione della funzione finanziaria e della struttura patrimoniale delle imprese; superare il ritardo nella digitalizzazione del sistema produttivo; guardare ai mercati internazionali; qualificare le risorse umane, comprese quelle impreditoriali e manageriali; sviluppare e consolidare le infrastrutture materiali ed immateriali.

Le INFRASTRUTTURE STRADALI E FERROVIARIE rappresentano un ASSET FONDAMENTALE per lo sviluppo e la competitività di un sistema territoriale. Le grandi trasversali di collegamento con le Marche ed i corridoi intermodali dell’Adriatico aprono una porta verso i Balcani e l’Oriente e, insieme al completamento della Orte-Civitavecchia, portano quasi a completamento la trasversale Tirreno-Adriatico, specie se troveranno spazio in futuro la Tre Valli e l’adeguamento della Flaminia. Allo stesso modo l’adeguamento della E45, l’interconnessioni con le dorsali dell’alta velocità, l’infrastruttura ferroviaria regionale di collegamento tra Terni e Perugia, lo sviluppo dell’aeroporto, oltre ad altri interventi di scala subregionale dedicati alla logistica ed alla loro connessione con il sistema ferroviario, rappresentano programmi di intervento fondamentali per ampliare la competitività e la produttività del sistema Umbria.

IPOTESI DI INTERVENTO. Le micro e piccole imprese rappresentano il 95 percento dell’universo imprenditoriale con circa 119000 addetti. Andrà quindi individuata una matrice di interventi valida per esse ma anche per quello più strutturate, che possa avere un profilo strutturale stabile, anche nella dimensione finanziaria, nel corso del tempo e tale da consolidare le aspettative delle imprese. Politiche ed interventi sia in tema di credito che di internazionalizzazione, di digitale che di competenze delle risorse umane sono e debbono essere patrimonio disponibile ed accessibile. La strategia di specializzazione intelligente servirà a definire il profilo della selettività rispetto ai temi di fondo della ricerca e dell’innovazione tecnologica, che anche nella nuova programmazione dei fondi strutturali per il periodo 2021-2027 sarà punto di riferimento per le misure a sostegno della ricerca. Imprese o interi comparti produttivi rischiano di essere marginalizzati in dipendenza degli andamenti e della velocità del progresso tecnologico. Devono quindi essere gestite, in maniera coordinata con il livello nazionale, transizioni e crisi aziendali. In Umbria su questo terreno abbiamo maturato esperienze significative sia nella gestione delle crisi aziendali puntuali, sia nella individuazione di approcci integrati rispetto ai rischi di deindustrializzazione di aree del territorio regionale, come avvenuto per l’area di crisi complessa Terni-Narni.

LAVORO. L’impresa dell’Umbria del futuro, ha bisogno di nuovi modelli di organizzazione del lavoro. A fronte di cambiamenti ed innovazioni che dovranno poter indirizzare il sistema verso livelli di produttività più elevati, i contratti di lavoro e le relazioni tra le parti sociali dovranno assumere tratti di prossimità all’impresa, incoraggiando un vero decentramento contrattuale, come si sta sperimentando anche in Umbria, a livello territoriale, di sito e di rete, utile anche ai programmi condivisi di miglioramento della produttività. Un processo che può rappresentare un ulteriore strumento in grado di centrare la sfida della produttività e dell’innovazione, a partire dalle PMI, per le quali la contrattazione territoriale può diventare una risorsa fondamentale. Uno degli impegni prioritari che possono essere propri di un azione condivisa tra le parti sociali sarà rappresentato dall’attuazione dei contenuti della legge sul lavoro incoraggiando il ricambio o come più efficacemente possiamo rappresentare la “staffetta generazionale”, premiando imprese socialmente responsabili, anche in termini di valore attribuito alle tematiche della sicurezza sul lavoro e delle tutela ambientale. In alcuni settori i nuovi modelli organizzativi comporteranno una riduzione del valore del lavoro, che va contrastato con la capacità di costruire nuove tutele e diritti, anche su scala locale, con politiche attive più veloci che facilitino le transizioni, l’aggiornamento delle competenze e la tutela delle persone specie nei settori non coperti da contrattazione collettiva. È questa la scommessa della nuova Agenzia per il lavoro (Arpal) che partirà dal gennaio prossimo. È necessario essere preparati anche all’impatto dell’automazione, discutendo su cosa fare per attenuare i possibili impatti negativi. Dovremmo immaginare una transizione delle politiche attive del lavoro verso una dimensione diversa che parli a chi è fuori dal mercato del lavoro ed al tempo stesso dia a chi invece del mercato del lavoro è parte, la possibilità di accedere a misure attive di prevenzione o compensazione, come programmi di formazione permanente o programmi di assicurazione sui salari.

Dopo GARANZIA GIOVANI e dopo il programma di politiche del lavoro UMBRIATTIVA, che sta riscuotendo grande successo sia tra i giovani che tra gli adulti disoccupati, con oltre tremila iscrizioni in pochi giorni, daremo una sferzata decisiva alla disoccupazione giovanile, che possiamo e vogliamo abbattere in questo fine legislatura di almeno di un terzo, sui contratti a tempo indeterminato, cui la misura Cresco ha dato un contributo non indifferente. Per questo saranno stanziati 15 milioni di euro, tra reddito di sostegno per la ricerca attiva di lavoro, completamento del percorso formativo necessario all’ingresso nel mercato del lavoro e incentivi all’assunzione a tempo indeterminato”.

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