Rallenta la crescita dell’Umbria: cala l’export e salari più bassi. Si guadagna di meno e gli investimenti non determinano un impulso decisivo

Nel 2023 in Umbria si assiste ad un rallentamento della crescita, con le prospettive per il 2024 che sono “fortemente condizionate” dal perdurare di un quadro di incertezza con il Pnrr che resta la “principale leva” (quasi l’unica, ndr) su cui poggiare le prospettive di crescita. A dirlo non sono le forze di opposizione o i sindacati ma la stessa Agenzia Regionale Umbria Ricerche con il suo amministratore unico Alessandro Campi. Lo fa in occasione della presentazione del quadro macro-economico che emerge dalle anticipazioni della Relazione semestrale. Un quadro che rimarca anche il perdurare dello svantaggio retributivo del lavoro dipendente nel settore privato in Umbria, che nel complesso risulta inferiore dell ‘11,5% rispetto a quello medio nazionale (dato 2022). Alcuni aggiornamenti relativi al quadro congiunturale e alle prospettive dell’Umbria, come anticipazione del lavoro finale che uscirà a gennaio, sono stati illustrati dallo stesso Campi e dai ricercatori seniores Mauro Casavecchia, Elisabetta Tondini e Giuseppe Coco, alla presenza della stessa governatrice Donatella Tesei.  Le previsioni dell’Istat per l’Italia danno una crescita del Pil dello 0,7% sia per il 2023 sia per l’anno successivo. Per quanto riguarda l’Umbria, le stime dell’Agenzia Umbria Ricerche (Aur) prevedono un tasso di crescita reale nel 2023 intorno allo 0,6%, per Svimez allo 0,5%. ” L’Umbria – ha affermato Campi – si è inserita in questo contesto di decelerazione dell’economia a livello internazionale e ne ha risentito, ma ha tenuto anche per la sua struttura produttiva complessivamente solida”. Il rallentamento, da come evidenzia il report, risente della contrazione dell’export, con il venir meno quindi del forte impulso alla crescita  economica verificatosi nello scorso biennio proveniente dalla domanda estera. Nei primi nove mesi dell’anno, la dinamica nominale dell’export umbro è stata del -4,5%, quale risultato di una performance del + 8,5% della provincia di Perugia e del -26,4% di quella di Terni. Sul fronte della domanda interna, anche gli investimenti non riescono a esercitare un effetto propulsivo sulla crescita. Pertanto, l’unica variabile in grado di contribuire, seppur debolmente, alla crescita del Pil 2023 è costituita dalla spesa per consumi delle famiglie. Sul versante dell’occupazione, invece, la dinamica occupazionale è positiva ma i salari umbri sono bassi rispetto alla media nazionale. I primi nove mesi dell’anno hanno sancito una ripresa del mercato del lavoro leggermente migliore rispetto a quella nazionale (+2,8% tendenziale contro il 2%), un fattore che ha contribuito a sostenere la domanda delle famiglie. Riguardo alle retribuzioni, isolando i soli lavoratori standard (quelli con contratti a tempo indeterminato full-time retribuiti dal datore di lavoro per un intero anno lavorativo), la retribuzione media annua in Umbria risulta pari a 30.872 euro e quella nazionale a 37.360 euro. “Questo significa che in Umbria si guadagna meno che in Italia e basse retribuzioni significa anche una scarsa attrattività”, hanno spiegato i ricercatori Aur. Scendendo nel dettaglio settoriale, la relazione rivela che nei primi sei mesi dell’anno l’industria umbra ha registrato una crescita modesta. In rallentamento anche l’attività del comparto edilizio, così come in calo il settore commerciale, che in Umbria non ha ancora recuperato i livelli occupazionali del 2019 e in più ha perso ulteriori unità di lavoro. Le uniche note positive arrivano dal settore turistico che nei primi 9 mesi dell’anno ha superato il livello di 5,5 milioni di presenze.