Payback sanità, le imprese che vendono in Umbria più penalizzate a causa dell’alto livello di sforamento della spesa

Imprese che vendono in Umbria penalizzate dal payback sanitario, a causa dell’elevato sforamento. Lo dice Asfo Fifo Confcommercio: “Lo sconto di 1 miliardo del decreto Energia non basta, così si annientano migliaia di imprese e si mette a rischio il sistema sanitario”.

Con la manovra finanziaria 2015 l’allora governo Renzi stabilì che, in caso di sforamento del tetto di spesa pubblica in dispositivi medici da parte di una regione, una parte (pari al 40% nel 2015, al 45% nel 2016 e al 50% a decorrere dal 2017) della spesa in eccesso dovesse venir rimborsata dalle imprese fornitrici. Il cosiddetto payback sanità è stato reso effettivo pochi giorni prima della fine legislatura dal governo Draghi, scatenando la protesta e il grido di allarme delle imprese fornitrici del sistema sanitario e delle associazioni che le rappresentano, per gli effetti che questo provvedimento ha sulle imprese stesse – con il concreto rischio di chiusura per tante – e sul livello di efficienza dei  servizi agli utenti.

In Umbria la situazione del settore è ancora più problematica.

“Il payback è una legge pensata e scritta talmente male che crea disparità anche tra le stesse pmi – denuncia Paolo Palombi, presidente di ASFO Umbria, l’Associazione fornitori ospedalieri che fa parte di FIFO (Federazione Italiana fornitori in sanità) Confcommercio. – In questo momento un’azienda che vende in Umbria, come in  Emilia Romagna o Toscana, risulta fortemente penalizzata rispetto a una che vende in Lombardia, Lazio o Calabria, solo perché la nostra è tra le Regioni che hanno maturato uno dei disavanzi più grandi del Paese”.

Secondo i dati FIFO, infatti,  se nel 2020 l’Umbria è risultata una delle 8 regioni che hanno registrato una riduzione di spesa, negli anni dal 2015 al 2018 lo sforamento è stato costantemente in salita, raggiungendo un totale di 304 milioni di euro, pari al 67,8%.  Da qui la penalizzazione per le imprese fornitrici: il payback regionale che dovrebbero pagare risulta nel quadriennio pari a 145 milioni di euro!
Le aziende umbre che lavorano principalmente nel settore di forniture ospedaliere – spiega  Palombi –  devono far fronte a cifre che mediamente sono intorno al 18% del fatturato del quadriennio 2015-2018, molte volte ben oltre i normali ricarichi applicati sulle gare vinte. Ad esempio, un’azienda che ha fatturato nel quadriennio 2015-2018  3.270.000 euro si trova a dover pagare  555.000 euro, importo che rappresenta oltre il doppio degli utili netti realizzati nello stesso periodo. Va chiarito peraltro sottolinea ancora Palombi – che  è impossibile leggere, in chiave di efficienza-inefficienza nella spesa, il quadro degli sforamenti delle varie Regioni. Quindi lo sforamento della  Regione Umbria, come di altre, non può assolutamente essere letto come indice di una minore efficienza nella spesa in dispositivi medici, anche perché i tetti regionali avrebbero dovuto essere  individuati coerentemente con la composizione pubblico-privata dell’offerta in ciascuna regione, cosa che invece poi non è avvenuta”.

Alla Regione Umbria ASFO ha chiesto un confronto prontamente concesso: l’associazione è in attesa di incontrare la presidente Tesei, dopo un appuntamento saltato a  causa degli eventi sismici. “Il nostro obiettivo  primario – sottolinea il presidente ASFO – dopo  il positivo superamento del payback –  altrimenti ogni prospettiva sarebbe inficiata – è il riconoscimento del ruolo primario delle nostre strutture nell’ambito del SSN, istituendo un tavolo di confronto istituzionale permanente, anche a livello locale oltre che nazionale, il cui comune obiettivo sia quello di migliorare la sanità”.

ASFO Umbria Confcommercio spiega perché il meccanismo del payback è  fortemente vessatorio nei confronti dei fornitori. “Le imprese partecipano a gare pubbliche – evidenzia a Palombi – molte delle quali centralizzate, ovvero soggette a fortissima concorrenza sui prezzi, nelle quali è la stazione appaltante a quantificare il proprio fabbisogno, a stabilire se le offerte ricevute sono congrue e infine a scegliere tra di esse quella che meglio la soddisfa; e una volta aggiudicatasi una gara, un’impresa non ha alcuna possibilità di cessare la fornitura, anzi è per legge tenuta a non interrompere il proprio servizio. In questo contesto il payback è un escamotage per non pagare (facendoselo rimborsare) una parte del prezzo precedentemente pattuito. Se il payback venisse effettivamente implementato nel settore dei dispositivi medici colpirebbe indiscriminatamente realtà molto diverse tra loro, perché il settore è estremamente eterogeneo e frammentato, così che anche le imprese che avessero visto contrarsi il proprio mercato e/o il proprio fatturato negli ultimi anni verrebbero comunque chiamate contro ogni logica a rimborsarne una parte. Si aggiunga che il payback, se penalizza le grandi imprese multinazionali, porterebbe addirittura alla chiusura molte piccole e medie imprese umbre e italiane che hanno come unico mercato di sbocco quello domestico e che rappresentano il 95% del tessuto imprenditoriale del settore e dei relativi occupati. È assurdo quindi che si pensi di superare questa norma attraverso un mero sconto, come ipotizzato nel decreto Energia, oltretutto condizionato ad una presunta richiesta di rinuncia dei ricorsi al TAR. Per la stragrande maggioranza delle pmi, anche in Umbria,  questo sconto non eviterebbe il rischio fallimento,  mandando in tilt le forniture di dispositivi medici agli ospedali”.