Chiusura stabilimento Tk-Ast di Ancona, Cecconi (FdI): “Silenzio delle istituzioni”

TERNI – “Un silenzio assordante delle istituzioni, immotivato”. Definisce così Marco Cecconi, capogruppo di Fratelli d’Italia- Alleanza nazionale in consiglio comunale a Terni, la situazione che si è venuta a creare subito dopo la notizia della chiusura dello stabilimento ThyssenKrupp di Ancona.

“Un ulteriore gravissimo motivo di allarme – specifica Cecconi – sulle reali strategie del gruppo e sui destini della fabbrica ternana: nelle mani di una proprietà che investe e verticalizza in Ungheria, mentre da noi rinuncia scientemente a rilanciare le produzioni e affossa le politiche commerciali anche più a portata di mano: come nel caso, appunto, della fabbrica Terninox di Mansano nelle Marche, un centro di finitura  dai conti in ordine, che fornisce cappe aspiranti alle imprese di cucine del territorio”.

Da qui alle conseguenze: “Le istituzioni tacciono; le relazioni sindacali non esistono; le parti sociali apprendono le news sulle scelte aziendali dai media; nessuno si preoccupa di verificare a Roma gli accordi sottoscritti due anni fa al Mise; il governo nazionale continua a brillare per il ruolo esiziale giocato a tutt’oggi in questa vicenda. Intanto, a Perugia si farnetica di una macro regione Umbria-Marche che, al momento, a quanto pare, prende corpo solo in una sommatoria ingovernata di crisi aziendali. E la nostra, di Regione, non è stata nemmeno capace di raccordarsi un minimo con la Regione Lazio e subisce così, tra capo e collo e senza colpo ferire, l’ennesimo blocco di quella Orte-Civitavecchia che alle acciaierie ternane servirebbe da decenni come il pane e invece ancora adesso si conferma come l’ennesimo motivo di vergogna”.

“Alla Marini – conclude Cecconi – abbiamo chiesto da due anni di venire a riferire in consiglio comunale, ma continua a scappare, tra una passerella e l’altra fra le macerie delle zone terremotate, dove ancora si va avanti con lo scandalo delle estrazioni del lotto per assegnare qualche casetta: indifferente, a quanto pare, alle crepe sempre più profonde del terremoto silenzioso che sta scuotendo il tessuto connettivo dell’economia locale. Magari la vera strategia è quella di chiuderla, la fabbrica di viale Brin. In fondo, da lì arrivano solo noie e grattacapi. Senza, magari aumenta il tesoretto statale dell’area di crisi complessa, da spendersi una tantum e poi dopo di me il diluvio”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.