Cigar Festival ovvero i piaceri del sigaro Tabacco Kentucky

Ha accolto così i suoi visitatori il “Cigar Festival”, prima edizione di una manifestazione dedicata interamente ai piaceri del sigaro, soprattutto toscano e derivati ma non solo, che ha aperto ieri i battenti e fino a domenica 4 giugno si è assunta il compito di far conoscere e declinare a Villa Magherini Graziani di San Giustino le gioie e le opportunità offerte da una trentina di aziende produttrici agli adepti di un mercato di nicchia, ma in costante ascesa: un genere di fumo che scientemente si differenzia da quello, inteso come nervoso e casuale, della sigaretta, per diffondere una pratica lenta legata alle suggestioni del passato prossimo, soprattutto ottocentesco, e, per quanto possibile, consapevole e “slow”.

L’America, soprattutto New York, docet. Nel Paese che ha dichiarato una guerra senza quartiere al fumo, indoor ed outdoor, rinascono lussuosi e nemmeno tanto carbonari sorta di luoghi di culto, “clubs” interamente dedicati al fumo di sigari, che, accoppiato a questo o quel nettare alcolico, che sia vinoso o superspirituoso, vogliono emancipare il fumo da ogni stigma puritano di vizio, per trascenderne la sostanza in filosofia e meditazione.

“Abbiamo accolto volentieri la proposta del sindaco di San Giustino Paolo Fratini”, spiega Andrea Castellani, “patron” di quella “Compagnia Toscana Sigari”, sede a San Sepolcro, che ha organizzato l’evento, “che ci ha offerto Villa Magherini Graziani come palcoscenico per una manifestazione completamente nuova, dedicata non soltanto al pubblico degli appassionati del sigaro, ma intesa come un recupero di antiche tradizioni”.

Già. E non soltanto perché il sigaro toscano si fa con il tabacco “Kentucky”, limitata ma significativa produzione dell’Alta Valle del Tevere. Quanto perché nelle vicinanze, in pieno comune di San Giustino, c’è la frazione di Cospaia, che per un bel pezzo, in grazia di un errore di zonizzazione, si godette lo status di microstato, vasetto di coccio esente da dazi, tributi e giustizia comminati dai vasi di ferro, Stato Pontificio e Granducato di Toscana, che furono comunque tenuti al palo per quasi quattro secoli, dal 1441 al 1826, da quella specie di scherzo catastale. Il quale, quando entrò in voga la produzione dell’ampia e profumatissima foglia, diventò una sorta di Repubblica del Tabacco.

Nelle sale, salette, anfratti e mezzanini di Villa Magherini Graziani (che a questo punto, dopo lo stupefacente restauro finanziato con i Fondi Europei, si pone, per grazia rinascimentale e dimensioni contenute, facciata simmetrica slanciata da una loggia vasariana ad archi e culminante in un’altana, come una delle più belle ville in Umbria, versatile come poche per eventi culturali che dovrebbero incentivarne l’attuale insufficiente utilizzo), il breviario del “tutto-quanto-fa-sigaro” si è snocciolato in tutti i virtuosismi possibili: dagli abbinamenti del tabacco Kentucky con il prosciutto di San Daniele alle mozzarelle affumicate a tabacco.

E passino le degustazioni d’obbligo di sigari e grappe, spingarde, apuani e stortignaccoli accompagnati – ormai un must – dal sippingsuperalcolico. Ma che dire di sigari di cioccolata riproposti in aroma tabagista, o di produzioni accessorie come occhiali personalizzati, coltellerie, e gioiellerie di portachiavi e pipette, e perfino cappelli ispirati, udite udite, al tabacco? E come tacere di tabacco e cultura, tabacco e giornalismo d’impegno, come quello di Gianluigi Paragone, che presentando al “Cigar Festival” il suo libro sul perverso intreccio tra politica e finanza (“Bank Gang”), non ha mai mollato il suo sigaro, cosa oggi impensabile in qualsiasi pubblico consesso?

Il motore, la sociologia di tutto ciò sta nel voler accreditare l’immagine di un fumo “diverso”, quello del sigaro, nobile come il grande vino e la cucina d’autore, elemento di un contesto evocato – come fa Ralph con le sue produzioni -, che connoti uno stile di vita elegante, rispettoso delle tradizioni, dove lessis more e la qualità, l’estetica la fanno da padrone. Certo, qualche dubbio rimane, e a rinfocolarlo, è il caso di dirlo, sono le apocalittiche scritte che deturpano l’eleganza delle belle scatole, il fumo-che-uccide anche coi sigari e il numero verde per smettere (per inciso è l’800.554.088). Il danno alla salute è innegabile, né c’è eleganza e iconografia ottocentesca (cui molti appassionati s’ispirano), biblioteche inglesi e caminetti, che tenga.

Però. La vita straborda di cose dannose, di cui non si può fare a meno. E Seneca, in una delle sue lettere a Lucilio, dice che anche l’uomo parco e savio deve talvolta bere vino, per curare con un po’ di gioia quella malinconia ch’è inseparabile dalla condizione umana. Est modus in rebus, dicevaOrazio. È un pensiero umanistico, che a Villa Magherini Graziani respira il suo elemento naturale.

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