La penitenziaria festeggia i 200 anni alla Rocca Albornoziana

SPOLETO – La Rocca Albornoziana, uno dei simboli di Spoleto, che dalla sua altezza sovrasta l’intera città, per 165 anni, dal 1817 al 1982, è stata la sede del carcere, per poi trasformarsi nel 2007 nel Museo nazionale del Ducato di Spoleto. E per festeggiare i 200 anni della fondazione dalla polizia penitenziaria, in un incontro celebrativo alla presenza delle autorità, è stato proiettato un film dal titolo “Com’era e com’è” che ha ripercorso la storia della vita carceraria. Come ha sottolineato il commissario capo Marco Piersigilli: “Abbiamo voluto raccontare il nostro lavoro, la Casa di reclusione di Spoleto e il suo rapporto con la città la nostra è una città nella città, e come nelle città di tutto il Paese e dell’Europa, ospitiamo un gran numero di stranieri e quindi è necessario aumentare il livello di sicurezza. Le piccole comunità straniere devono essere monitorate e osservate continuamente, incluse e mai abbandonate”. Il lavoro della penitenziaria, si sa, è molto complicato, duro, stressante, proprio perché il personale è in contatto giorno e notte con delinquenti, disagiati, persone con problemi psichici, emarginati dalla società. Ci vuole forza, ma anche delicatezza per cercare di gestire al meglio la vita in questa difficile comunità. E la guardia va tenuta sempre alta in carcere perché il pericolo può annidarsi dietro l’angolo.  E a dimostrazione del grande impegno a cui sono chiamati gli agenti, ci sono i numeri riferiti ai primi nove mesi del 2017. Il reparto, come ha spiegato il commissario capo, ha assicurato “139 ingressi , di cui 86 da altri istituti, 33 dimissioni di fine pena e ulteriori 9 a vario titolo, 21 arresti domiciliari e 10 di detenzione domiciliare, 20 affidamenti in prova ai servizi sociali, 4 espulsioni, un estradato, 653 videoconferenze con aule di giustizia e 464 traduzioni sul territorio nazionale”. E non sono mancati i momenti di forte criticità con 35 atti di autolesionismo, 14 colluttazioni tra detenuti, un tentato suicidio e un altro, purtroppo, riuscito. “Ciò deve chiamare tutti a una riflessione sulla difficoltà del nostro operato” ha concluso Piersigilli.

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