Gualdo Tadino, a Busche la mostra di Antonella Privitera

GUALDO TADINO  – Dal 10 dicembre Adelinda Allegretti Curator Studio&Gallery ospita, nella sua galleria a Busche, la mostra personale dell’artista romana Antonella Privitera. Si tratta della seconda tappa della mostra già presentata, dal 1 al 4 dicembre, presso la Sala Stampa dell’Auditorium Parco della Musica, in Roma. Un’esposizione che vuole smuovere le coscienze, in cui il nostro pianeta, visto da diverse angolazioni, ne è a tutti gli effetti il principale protagonista. Particolare risalto, inoltre, è dato rispettabilmente all’Africa e alla condizione femminile, soprattutto in Afghanistan. È qui che entrano in gioco due distinte realtà che da anni si battono per portare aiuto ed assistenza in tali aree: Afron ONLUS e Nove ONLUS. E a tali associazioni Antonella Privitera ha deciso di devolvere parte del ricavato della vendita delle opere esposte.

Testo critico desunto dal catalogo:

L’apprensione per un mondo sempre più depauperato dei suoi equilibri -politici, sociali, climatici, economici- è oggi tema diffuso, divenendo argomento imprescindibile nelle conversazioni e nelle riflessioni quotidiane di ciascuno di noi. Si parla delle emigrazioni di massa, del divario sempre più netto tra le fasce di popolazione, delle calamità naturali, delle montagne di fango che letteralmente fagocitano enormi aree urbanizzate e dei fiumi che si riappropriano dei propri letti, degli incendi che devastano migliaia di ettari, dell’inquinamento atmosferico. E qual è la conclusione? Che il mondo cambia. Che l’inarrestabile corsa verso chissà quale apocalittico traguardo ci terrorizza, ma al contempo ci sentiamo incapaci di formulare soluzioni efficaci. È da qui che prende le mosse la più recente produzione artistica di Antonella Privitera, ed ancora è da qui, da questo Mondo a pezzi, che sembra aprirsi -nonostante tutto- uno spiraglio di luce, di speranza.

Fondamentale iniziare questo excursus dall’opera che dà il titolo alla mostra, in realtà la prima di una nuova serie di lavori, nonché capofila di un inarrestabile processo creativo in cui Antonella ha sviscerato, taglio dopo taglio e bruciatura dopo bruciatura, un tema che ha fatto interamente e profondamente suo e che ha portato alla realizzazione di decine di esemplari, l’uno diverso dall’altro ma tutti parte integrante dello stesso pensiero. Il Mondo a pezzi le ha così permesso di guardare il nostro pianeta da diversi punti di vista: srotolandolo come fosse un’antica carta geografica, ma anche concentrandosi su singoli continenti o mirando a specifiche aree da angolazioni inusuali, riconsegnandoci -anche concettualmente- un mondo poco “riconoscibile”, proprio perché se la forma rimane invariata -e come potrebbe essere altrimenti?- è l’approccio che cambia. Ed è proprio questo il punto: riconoscere la nostra realtà come una piccola, infinitesimale parte del tutto e capire, finalmente, che se il mondo va in pezzi non ci sarà salvezza per alcuno di noi. In questi lavori il mondo è nero, maleodorante nella sua fase di lavorazione, bruciato, tagliato, modellato quando è ancora caldo, filante, gommoso. Il vetro o cristallo, con la sua idea di fragilità da un lato e di pericolo dall’altro, si ricompatta sulla superficie martoriata, sottolineando ancora una volta quel “maneggiare con cura” a cui non possiamo più sottrarci. E se è vero che il vetro può recidere e ferire, è altrettanto indiscusso lo scintillio, la brillantezza, la catarsi implicita nella sua trasparenza. Antonella suggerisce proprio questo: la rinascita che sta dietro alla frantumazione.

E quando non utilizza il vetro, sceglie la luce per dire la stessa cosa. Magari concentra l’attenzione su aree geografiche ben precise, come l’Africa, che ama da sempre e che da molti anni costituisce la sua più inesauribile fonte di ispirazione.

C’è anche un altro aspetto della ricerca di Antonella che personalmente mi affascina molto, ovvero la sua straordinaria capacità di sporcarsi letteralmente le mani con strumenti ed azioni ai miei occhi “maschili”, che la portano a saldare il ferro, a bruciare, frantumare e martellare superfici tutt’altro che malleabili, intervenendo sulla materia con una tale forza che poi, alla fine di tale processo, sa ridonare all’opera quella leggerezza, eleganza e raffinatezza, caratteristiche “femminili”. Accade una sorta di trasmutazione, e ciò che ne deriva è poesia pura. Credo sia questo l’aspetto per me più affascinante: il riuscire a creare opere tanto liriche, partendo da materiali di scarto o di difficile e complessa lavorazione. L’opera mantiene in sé tutta la fatica, anche fisica, della sua gestazione, ma a prevalere è comunque la bellezza, la delicatezza.

Questo aspetto più “femminile” è d’altro canto ancora più evidente nelle Lune, a proposito delle quali afferma: “Noi donne siamo collegate intimamente alla luna. Siamo la rappresentazione di un potere sottile, cosmico, universale, misterioso e mutevole, dalla grande forza creativa. La luna è l’elemento femminile dell’essere umano e solo facendolo emergere si troverà la felicità. È questa la mia speranza!”. La superficie ruvida crea un inarrestabile movimento dello sguardo, catturato e guidato alla scoperta di anfratti, pieghe di buio, asperità e parti più levigate, in una visione che si rinnova di continuo e che mai stanca l’occhio del visitatore più attento.

L’attenzione per l’aspetto femminile, inteso nella sua accezione cosmica, universale e creativa, sfocia anche in un’altra serie di lavori, dedicati all’Ouroboros. Simbolo antichissimo, è raffigurato da un serpente o drago che si morde la coda, a costituire un cerchio senza soluzione di continuità. Sta ad indicare la natura ciclica delle cose, l’energia universale che si consuma e che si rinnova, ma anche il tempo ciclico, l’eternità, l’infinito. Gli Urobori di Antonella non hanno una struttura circolare, ma si attorcigliano su se stessi, quasi entrano ed escono dal campo visivo dello spettatore, ma sempre testa e coda si ricongiungono, mantenendo fede all’antica iconografia.

Nella serie di opere Armonia dell’Universo le note che si susseguono, incessanti, su pannelli -anche retroilluminati- intendono rimandare al concetto pitagorico dell’armonia delle sfere o musica universalis. Il filosofo greco, infatti, affermava che i moti circolari degli astri, allo stesso modo delle vibrazioni delle corde di uno strumento musicale, producono suoni. Abbandonato in seguito all’avvento della rivoluzione scientifica nel ‘600, questo concetto, che tanto aveva affascinato i pensatori medievali e rinascimentali, è tornato recentemente alla ribalta grazie allo sviluppo, negli ultimi 10 anni, di un’intera branca dell’astrofisica, chiamata astrosismologia, che studia i suoni del sole, delle altre stelle, dei pianeti e dei vari corpi celesti. Siamo parte integrante di un Tutto e il nostro scopo è quello non solo di riconciliarci con Esso, ma di tornare a percepire la Bellezza insita nel creato. E a questo punto, ma solo come spiraglio verso un futuro approfondimento, credo sia utile e doveroso accennare ad una serie di Globi, più vicini al concetto dei Poliedri realizzati da Luca Pacioli e successivamente sviluppati da Leonardo, che non alla semplice forma terrestre. Di certo in questi lavori tornano l’idea di armonia e di equilibrio, e daranno nuova linfa alla ricerca artistica di Antonella.

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