C’era una volta l’Umbria rossa

di Pierluigi Castellani

La vittoria del centrodestra in tutti i collegi uninominali di Camera e Senato e il successo del M5Stelle stanno a testimoniare come l’Umbria non sia più da considerarsi una regione inespugnabile per la destra né tanto meno esclusivo appannaggio della sinistra. I risultati del 4 marzo in Umbria sono allineati con quelli di tutto il centro nord tranne alcune isole rappresentate dalla Toscana e dall’Emilia Romagna. Certamente si tratta di un fenomeno legato al vento di destra e populista che ha soffiato su tutta l’Italia, ma forse qualche peculiarità deve pure essere annoverata. Segnali se ne erano già avuti con la perdita nel 2014 di città come Perugia, Todi e Spoleto, che hanno denotato anche una crescente insofferenza verso una gestione della cosa pubblica che in Umbria data dalla prima repubblica. La verità è che non basta più solo la buona amministrazione a creare consenso, occorre un di più che può essere dato dall’offrire progetti credibili e capaci di suscitare anche sogni e speranze nei cittadini. Dagli elettori umbri si è percepito il governo del centrosinistra come troppo schiacciato sul contingente e sul quotidiano esercizio di potere senza che siano stati lanciati segnali di effettiva discontinuità con il passato. E poi non basta più il politicamente corretto, spesso autoreferenziale, a far nascere interesse nei cittadini. Non basta fare le battaglie, pur giuste per i diritti, che vengono apprezzate più nei circoli dalle élite intellettuali, che tra la gente comune quando nella società, soprattutto negli strati più indifesi, mancano le sicurezze e quelle coperture sociali che una volta contraddistinguevano le politiche di sinistra. Quando un lavoratore precario ,un disoccupato o un anziano in difficoltà finiscono per percepire nell’immigrato un pericoloso concorrente per l’assegnazione della coperta sociale ,che appare sempre più ristretta, significa che si è rotto qualcosa tra il popolo e la sinistra e così i cittadini, che vivono nelle paure, diventano facilmente preda del populismo e della destra. Con questo non si vuol dire che in Umbria, come nel resto del paese, il centrosinistra non abbia fatto nulla in direzione di un welfare più attento ai bisogni dei cittadini, ma significa che questa attenzione non è stata percepita nel suo valore effettivo per cui facilmente si è ceduto alla sirena demagogica di chi ha promesso il reddito di cittadinanza a tutti e di chi vuole rimandare a casa in un colpo solo seicentomila clandestini. Non si spiega altrimenti il successo dei 5Stelle e l’avanzata della Lega di Salvini in una regione, che mai ha ceduto alle sirena di un movimento quando aveva il Nord incorporato nel suo simbolo. Ma occorre qualcosa di più. Se le cose rimarranno così ,come le ha evidenziate il risultato elettorale di 4 marzo, non c’è più partita per il centrosinistra alle prossime regionali del 2020. E’ Infatti il momento per la giunta Marini di dare qualche segna forte di discontinuità accelerando quel processo di rinnovamento, del resto già iniziato, di ammodernamento della macchina pubblica, di alleggerimento della sua pesantezza, di revisione complessiva della spesa, e scommettere in modo più incisivo su di un’ Umbria più al passo con i tempi, più innovativa e creativa. Anche il panorama dei servizi sociali deve essere rivisitato in questo senso, aumentando le eccellenze nella sanità, dando maggiore attenzione agli anziani, alle solitudini che vivono le famiglie con difficoltà. C’è bisogno di dare un forte shock innovativo a tutto il complesso della politica regionale. Non si tratta, come qualcuno semplicisticamente vorrebbe, di introdurre più sinistra nella sinistra, del resto l’insuccesso di Leu lo sta a dimostrare, ma di reinterpretare in chiave moderna l’essere sinistra nella società di oggi. Le categorie del passato sono superate, da tempo non viviamo più nel fordismo ed il mondo del lavoro è variegato e la destra non è più quella tradizionale di una volta, liberista ed assidua frequentatrice di Adam Smith. La destra che ha prevalso il 4 marzo è una destra corporativa, sovranista, statalista ed incline ad aumentare l’intervento dello stato e la spesa pubblica senza alcun ossequio alle regole europee. E’ in questa destra che si è sviluppato il brodo di cultura del populismo, che ambisce di dare risposte semplici a problemi complessi illudendo gli elettori. Ma è con questa destra e con questo populismo che occorre fare i conti.

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