IL I° MAGGIO E IL CORONAVIRUS

di Pierluigi Castellani

Non ci sono cortei, non c’è sventolio di bandiere, né gli squillanti discorsi dei leader sindacali e il concertone , anziché nella grande piazza S. Giovanni piena di gente, è ristretto nel rettangolo di un televisore. Non c’è niente insomma che sembra stimolarci a celebrare la festa del lavoro come memoria delle conquiste raggiunte dai lavoratori nell’arco di questi due secoli e come impegno a mantenere alta la guardia nella difesa del lavoro in un’epoca di grandi mutamenti sociali. Ora la prova imposta a tutti dalla pandemia del coronavirus spinge a riflettere su quale sia l’orizzonte in cui si pone la necessità di difendere la dignità del lavoro quando la sospensione di molte attività produttive sta mettendo in pericolo il futuro della nostra economia e la cassa integrazione , le ferie imposte dall’abbassamento di molte saracinesche,  diffondono un pericoloso sentimento di precarietà, che  fiacca molte resistenze di cui pure l’umanità tutta dovrebbe disporre. L’emergenza sanitaria sta cambiando molti paradigmi di quelli che ci sembravano definitivamente assodati. Lo smart working con il tele lavoro, il contingentamento dell’ingresso nelle fabbriche, il distanziamento sociale, i turni di lavoro non consueti e diffusi nella settimana lunga per permettere il completo utilizzo delle strutture aziendali, la nuova creatività del sistema lavoro imposta dalla diffusione del lavoro autonomo non dipendente accentuata dall’emergenza sanitaria che trasforma i tradizionali ritmi di lavoro, tutto questo si pone alla riflessione di questo diverso ed anomalo 1° maggio.  C’è poi la diffusa preoccupazione che la non armonizzazione a livello europeo delle misure di contenimento della pandemia con la ripresa delle attività in alcuni stati mentre in altri, e tra questi il nostro paese, per il pericolo del contagio ancora in atto, le medesime attività rimangono sospese comporti un arretramento della capacità delle nostre aziende di stare sul mercato internazionale con il rischio di perdere quegli spazi commerciali che l’export italiano aveva conquistato. Sono quindi molti i pensieri che gravano su tutto il mondo del lavoro in una giornata che dovrebbe essere dominata dalle festose celebrazioni  delle grandi conquiste del passato e da sentimenti di speranza per un futuro che si vorrebbe più roseo. C’è però qualcosa di positivo che può essere annotato. E’ infatti oramai diffusa la convinzione del necessario ruolo dello Stato e del pubblico per far fronte a tutte le emergenze, anche a quelle economiche e sociali, e che molte delle attività essenziali, soprattutto nel campo sanitario e manifatturiero prima delegate ai paesi emergenti dell’Asia, debbono essere rilocalizzate all’interno del territorio nazionale per non trovarsi, nell’emergenza, con le difficoltà riscontrate per approvvigionarsi dei dispositivi di protezione individuale ( mascherine ed altro), e di attrezzature necessarie per la dotazione dei nostri presidi sanitari. La chiusura dei confini imposta dalla pandemia stimola ad un ripensamento di alcuni risvolti della globalizzazione senza regole, che abbiamo subito. Sappiamo bene che non si può tornare indietro rispetto alla globalizzazione imposta dall’avanzamento della tecnologia e dei sistemi finanziari, che hanno monopolizzato l’economia di questi ultimi anni. Ma un conto è subire la globalizzazione e un conto è cercare di governarla per ridurre i suoi effetti di squilibrio e di aumento delle disuguaglianze sociali. Queste ed altre cose affollano la mente di tutti in questo 1° maggio dimesso e sotto tono. Ma compito della politica e di tutte le forze sociali è fare tesoro delle opportunità di riflessione  imposte dall’ “iorestoacasa” in questo momento difficile, che incrocia anche la tradizionale festa del lavoro.