La povertà. Cosa fare?

 

di Pierluigi Castellani

La diffusione dei dati Istat sulla povertà nel nostro paese per il 2016, pur rilevando una sostanziale stabilità rispetto all’anno precedente, inducono ad una maggiore attenzione a questo grave fenomeno della nostra società per la politica, ma non solo, perché tutti gli attori sociali sono chiamati a dare una risposta.  Questi dati rilevano un aggravamento nelle regioni centrali in cui aumentano sia le famiglie  povere ( dal 4,2% al 5,9%) sia le persone (dal 5,6% al 7,3%).  Sono dati che colpiscono per la loro drammaticità e che si spiegano con il fatto che sono proprio le regioni centrali,e tra queste l’Umbria,ad essere state colpite più duramente dalla crisi economica iniziata dal 2007. Certamente rimane la domanda sul che fare per invertire la tendenza. E la politica si è più volte interrogata dando risposte non univoche. Per molto tempo ha occupato il dibattito il reddito di cittadinanza proposto dai 5Stelle, che sembrerebbe la risposta più adeguata se  non fosse non soltanto che è molto costosa ed i grillini si sono ben guardati dall’ offrire soluzioni credibili per la sua copertura finanziaria, ma che appare improntata ad una cultura assistenzialistica del secolo scorso, che non tiene conto della necessità che prima di distribuire la ricchezza la ricchezza bisogna crearla. Infatti è solo il lavoro ed una politica adeguata volta a creare lavoro che può sconfiggere la povertà. Non a caso c’è chi ,come il PD, ha  risposto proponendo il lavoro di cittadinanza per offrire maggiore attenzione alla dignità della persona umana. Solo riconoscendo il diritto al lavoro, che dà autostima e prestigio , si riconosce il valore di ogni persona umana. Questo non avviene con  il puro assistenzialismo ancorchè fosse economicamente sostenibile. Certamente c’è anche un tema di lotta alle diseguaglianze sociali ed anche di assistenza alle persone espulse dal mercato del lavoro. Per questo una prima risposta è venuta dal governo che ha introdotto il Sia ( sostegno all’inclusione attiva) ed ha fatto approvare dal parlamento la legge delega per introdurre misure di contrasto alla povertà. Sono primi segnali di una inversione di tendenza, che dimostrano una nuova attenzione al problema della povertà e delle disuguaglianze. Naturalmente non basta. Ma la timida ripresa, segnalata anche da osservatori internazionali oltre che dalla Banca d’Italia, sta a dimostrare che le politiche di questi ultimi anni stanno producendo risultati, anche se insufficienti, sia in termini di ripresa economica che di aumento dell’occupazione.

C’è infine la ristrutturazione del sistema di welfare di cui si parla da tempo. Un welfare universalistico non è più sostenibile. Va accortamente ristrutturato tenendo conto delle disponibilità finanziarie ma soprattutto delle esigenze reali delle persone. Un welfare calibrato sui nuovi cambiamenti epocali è la nuova sfida di questi anni. Il welfare che è stato finora immaginato, ad esempio, non poteva tener conto dell’esodo epocale di intere popolazioni come oggi sta avvenendo ed inoltre la nuova risposta ai reali bisogni della società non può avvenire da parte di una sola nazione, ma almeno dall’Europa se non dal coordinamento di interi continenti. Nessuno può sfuggire all’incombere delle nuove povertà. Ad esse si risponde mobilitando la politica, le istituzioni ma anche tutta la società civile con il suo multiforme e generoso mondo del volontariato. Anche in Umbria si è creato un proficuo rapporto tra istituzioni , caritas e volontariato. Certamente va fatto qualcosa di più ma senza perdere di vista che le risorse vanno in primo luogo soprattutto spese per creare lavoro e con esso assicurare la dignità di ogni persona umana. Il lavoro è il primo obbiettivo e lo si ottiene creando occasioni di sviluppo. Parafrasando una famosa affermazione di Paolo VI si può dire che è lo sviluppo il nuovo nome della lotta alla povertà.

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