L’ascesa della destra e del populismo

di Pierluigi Castellani

Va di moda in questi giorni citare il detto di J.M. Naulot secondo il quale populista è “ l’aggettivo usato dalla sinistra per disegnare il popolo quando questo comincia a sfuggirle”. C’è certamente del vero in questa affermazione perché è apparso evidente nel risultato elettorale del 4 marzo lo scollamento tra la sinistra e gran parte del suo tradizionale bacino popolare di riferimento. Ma non si può non cogliere nell’assunto di Naulot il rischio di minimizzare e derubricare il fenomeno del populismo, che sta in vario modo ridisegnando lo scenario politico in tutta Europa e non solo. Nè sembra del tutto convincente anche quanto affermato da Edward Luce nel suo recente “Il tramonto del liberalismo occidentale” e cioè che “la destra populista ha cominciato a farsi valere alle urne quando ha iniziato ad occupare il ruolo della sinistra”. In queste due analisi infatti non si tiene conto di quale sia il substrato sociale e culturale su cui si innesta il populismo. C’è infatti dietro al populismo una sorta di indifferenza ai valori, di raccogliticcia base culturale, attenta più al quotidiano, all’immediatezza dei tornaconti personali ed una palese indifferenza al progetto complessivo di una società del futuro, che non può nascere senza dignitose basi culturali e valoriali. Specchio di tutto questo è l’atteggiamento che la Lega di Salvini ed il movimento di Grillo hanno nei confronti della complessità dei problemi che la società ha oggi difronte. La globalizzazione si tende a negarla o ad esorcizzarla erigendo muri e barricate protezionistiche, così è pure per il fenomeno delle migrazioni perché o si cerca di evitare di prendere in proposito posizioni precise – vedi i 5Stelle che svicolano ogni volta che si pone a loro questo tema- o si presentano ricette facili ed apparentemente semplici per un problema che è di una complessità epocale – si veda Trump che vuole erigere il muro nei confronti del Messico e si veda Salvini che dice di voler ricacciare indietro tutta l’enorme massa di clandestini- . Così è per il problema del lavoro e delle marginalità sociali. Salvini propone la Flat tax, che dovrebbe essere una ricetta buona per ogni problema senza contare che avrebbe come sicuro risultato l’aumento delle disparità sociali e così i 5Stelle che proponendo il reddito di cittadinanza non fanno altro che alimentare le spinte all’ assistenzialismo, già così diffuse nella società italiana soprattutto al sud e senza preoccuparsi seriamente di trovare le risorse, che dovrebbero alimentare questa misura assistenziale. Ecco perché non mi sembra tanto azzardata la tesi di vedere il populismo innestarsi su di un generico qualunquismo, indifferente ai valori e più attento ad un opportunismo nutrito di miope particolarismo. Se ne vuole una prova? Si leggano le recenti dichiarazioni di Beppe Grillo quando dice “ siamo un po’ democristiani, un po’ di destra, un po’ di sinistra, un po’ di centro….Possiamo adattarci a qualsiasi cosa” ed aggiunge” la specie che sopravvive non è quella più forte ma quella che si adatta meglio”. E del resto Luigi Di Maio ,capo politico del movimento, si sta muovendo secondo questa logica nella speranza di poter dar vita ad un suo governo in piena contraddizione con quanto sostenuto prima avendo sempre accredito il M5Stelle sul versante dell’antipolitica e nella orgogliosa diversità rispetto alle tradizionali forze politiche. Per questo ci sembrano un po’ sbrigative le letture che si danno sul populismo di casa nostra, mentre sarebbe un po’ più attenta un’ indagine su questo fenomeno che tenga conto dell’innata propensione dei cittadini delusi e preoccupati verso il demagogo di turno, che non ha remore a cavalcare il tutto ed il contrario di tutto per avere consensi facendo conto di quel tanto di opportunismo qualunquista, che è insito nell’animo umano. Del resto non ha detto Flaiano che gli italiani vanno sempre “in soccorso del vincitore?”. E del populismo in salsa italiana non si potrebbe dire, parafrasando quanto detto da Rosselli e Gobetti del fascismo, che è “l’autobiografia della nazione”? Rimane il problema di come evitare che si giunga a tutto questo. E’ certamente compito della sinistra, ma non solo, di ricostruire un tessuto di solidale vicinanza con quanti si sentono emarginati e penalizzati dal processo di una globalizzazione non controllata, di dare risposte certe in termini sicurezza delle persone e di costruire un welfare includente che non lasci nessuno ai margini della società, che costruisca lavoro non meramente precario, dando la giusta attenzione alle necessità dell’impresa, perché senza impresa non c’è lavoro e di combattere la diseguaglianze sociali con tutti le armi, da quella di una fiscalità giusta, a quella di servizi sociali efficienti e non autoreferenziali. Ma c’è anche un grande problema di cultura, di educazione delle nuove generazioni, che però non isoli gli adulti in età avanzata. C’è insomma da costruire un progetto di società giusta e solidale, attenta alle novità, ma che sappia anche saldamente governare gli inevitabili processi di globalizzazione e che sappia spazzar via l’illusione di una società chiusa e ristretta nei propri confini fisici ed identitari. Perchè per società di questo tipo non può esserci spazio nel terzo millennio, che ha bisogno come non mai di pace e prosperità.

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