Manovra del popolo o del populismo?

di Pierluigi Castellani

I ministri 5Stelle affacciati al balcone di Palazzo Chigi per festeggiare il varo del Def, che fissa l’obbiettivo del deficit al 2,4%per i prossimi tre anni, e il vicepremier Matteo Salvini con il suo “me ne frego” nei confronti dell’Europa rischiano di evocare vecchi trascorsi storici, che furono forieri di molti guai per l’Italia. Ma ora la politica è così; una continua rincorsa dei due contraenti il famoso contratto di governo ad annettersi, il prima possibile, il raggiungimento degli obbiettivi più popolari dei rispettivi programmi elettorali senza attendere la concreta realizzazione degli stessi. Il Def ,varato dal Consiglio dei ministri il 27 settembre scorso a tarda sera, infatti è soltanto un documento che fissa gli obbiettivi da raggiungere nel 2019 perché poi c’è la legge di stabilità, che dovrà scendere nei dettagli e fornire le modalità concrete con cui quegli obbiettivi debbono essere  raggiunti.

Per ora la sensazione, che se ne ha, è che Lega e 5Stelle vogliono catturare l’immediato consenso elettorale, perché è una manovra che privilegia la spesa di tipo assistenziale ed ha un solo obbiettivo di molto corto respiro: arrivare alle elezioni europee e mietere consensi, soprattutto per aggiudicarsi la primazia tra i due movimenti politici, senza minimamente porsi il problema del dopo e senza chiedersi chi, ad esempio, dovrà assumersi l’onere di pagare quel debito pubblico, che una manovra in deficit inevitabilmente farà aumentare. Si dirà, e lo dice anche certa sinistra  politica e sindacale che vede nei 5Stelle, o in una parte di essi, una loro costola con cui allearsi, che misure contro la povertà sono necessarie e che è pure necessario superare la legge Fornero per le pensioni. Naturalmente non si può essere contro la elevazione delle pensioni minime e contro misure che contrastino effettivamente la povertà, ma ciò che non c’è in questa manovra è il lavoro, non c’è il tema del lavoro essenziale per ogni crescita e sviluppo. Sembra quasi che ci sia un’arrendevolezza nei confronti di una certa dinamica di scarsa crescita e che l’Italia debba essere un paese di pensionati e di disoccupati assistiti. E pensare che gli strumenti per superare le ingiustizie e le disuguaglianze sociali già ci sono ,basterebbe farli funzionare e finanziare. Di Maio dice che il reddito di cittadinanza non sarà erogato a chi passa la vita su un divano, ma allora perché non prendere atto che lo strumento per avviare al lavoro chi non lo ha è il reddito di inclusione già istituito dai precedenti governi. Basterebbe rafforzarlo e dotarlo di adeguate risorse. E poi che reddito di cittadinanza verrà erogato? Il Sole 24 ore ha fatto qualche conto, dividendo i 10 miliardi annunciati  per la platea dei cosiddetti poveri, che ammonterebbe a 6 miliardi e 500 milioni, si ottiene una cifra di poco più di 100 euro mensili a testa, cioè meno dell’attuale assegno del reddito di inclusione. Si osserverà che in ogni caso si tratterà di un incremento al reddito già percepito dai destinatari e non una elargizione a tutti della medesima cifra. Appunto, prima di festeggiare dal balcone bisognerebbe attendere come nel dettaglio questo reddito di cittadinanza verrà concretizzato e come si declinerà con l’obbiettivo dell’avviamento al lavoro. E poi c’è la flat tax e il superamento della legge Fornero tanto cari a Salvini. Già sappiamo che la flat tax generalizzata è un cospicuo favore ai ricchi e non certamente ai poveri, ma per ora sembra che ci si limiti al 15% secco per i redditi delle partite Iva senza intervenire sull’Irpef con il rischio concreto di incrementare le partite Iva e di far diminuire il lavoro dipendente il cui prelievo sul reddito rimane a quote più alte. E così per le pensioni, perché un anticipo generalizzato dell’età del pensionamento rischia di mettere in crisi i conti dell’Inps e con essi anche quelli dello stato. Certamente la legge Fornero ha molte ombre – si pensi alla questione esodati-, ma un conto è correggerla e prevedere l’anticipo del pensionamento per particolari  categorie e per i lavori usuranti -come del resto già avviene- e un conto è dare la possibilità a tutti di anticipare la pensione in un contesto in cui l’allungamento della speranza di vita a 83 anni porterebbe comunque a dissestare il bilancio dell’Inps e a farlo pagare ai giovani, che dovranno contribuire al bilancio previdenziale non certamente con le garanzie che si vogliono ora assicurare ai destinatari della quota 100. Ma la razionalità sembra non più essere una categoria della politica e quindi importa la raccolta comunque dei consensi e non già la doverosa attenzione a quello che avviene nel mondo di oggi quando lo spread sale e la borsa crolla, come è avvenuto nel venerdì nero della scorsa settimana, con danno dello Stato, che dovrà spendere di più per gli interessi sul debito e dei risparmi di quegli italiani, che si fossero avventurati a diventare piccoli azionisti di aziende ritenute fino ad ora sane.

Per questo ha ragione Romano Prodi quando, commentando  su Il Messaggero del 29 settembre il Def  uscito dal cdm del 27 settembre, ha detto :” esso si cura del consenso di oggi e non della necessità del domani”.

 

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