di Umberto Giorgio Affabile / Alla fine, la rocca umbra ha resistito. L’assalto finale è stato portato con determinazione e intelligenza e stava per riuscire.

Cosa sia stato a farlo fallire va ricercato, sì, in una sostanziale tenuta del Pd e, soprattutto, nel prevalere, all'interno del partito, di una forte, convinta passione riformatrice, a patto però di intendere il verbo riformatore come di marca renziana, ma di fattura tutta locale, tutta calata, con amore, nel territorio. Che era quanto voleva fare lo stesso Ricci, spinto a valersi dei voti della Lega anche perché quelli forzisti sarebbero stati insufficienti.
Questo non vuole essere un giudizio ingeneroso verso il centro-destra umbro e le sue componenti. Bisogna riconoscere, infatti, che dietro i voti della Lega non c'è alcunché da demonizzare. È probabile, invece, che al fondo delle richieste di questa forza politica ci siano le stesse esigenze di legalità e di sviluppo che il centro-sinistra ritiene, da sempre, sue prerogative. Il Pd, soprattutto, esprime i propri programmi di riforma in maniera il più delle volte mediata e intellettuale; la Lega lo fa in maniera più diretta e immediata. Così si spiegano il successo esponenziale della Lega e quello molto più contenuto, da linea difensiva, che è arriso al Pd.
La stessa cosa si potrebbe dire a proposito del M5S, che però percorre una strada tutta sua e sviluppa una corsa ancora molto sdegnosa e solitarie sulla scena istituzionale. Oggi, i rappresentanti del Movimento di Grillo si muovono con maggiore consapevolezza dei loro mezzi e hanno il pregio di far risaltare, anch'essi, tutto il loro contatto diretto, in fieri, con gli elettori.
A pensarci bene, e alla luce propria dei risultati del voto di domenica scorsa, si fatica enormemente a etichettare come di destra la Lega e di sinistra il M5S. Il segreto ultimo del loro successo - insegna il voto di domenica scorsa, in Umbria e in Italia - sta giusto nell'essersi chiamati fuori da ogni definizione di destra di sinistra, chiamando con ciò la destra, la sinistra e il centro nel quale di volta in volta destra e sinistra si integrano, a rinnovarsi e a riformarsi mediante il contatto spontaneo e movimentista con le preoccupazioni più serie della gente.
Se il centro-sinistra si è salvato dalla presa della rocca umbra da parte di Claudio Ricci è perché ha potuto disporre, alla fine, dei numeri che hanno dato fiducia alle testimonianze di un impegno nuovo verso la gente che alcuni candidati, in particolare, hanno espresso nei loro programmi.
Vi sono, nel nuovo gruppo di maggioranza che si stringe intorno a Catiuscia Marini, personalità in grado di contendere, a Lega e M5S, la palma dell'immediatezza e del lavoro appassionato, più da movimento che da partito, con cui vengono riconosciuti dalla gente la promessa di vicinanza delle istituzioni, il rifiuto dell'arroccamento dentro Palazzo Cesaroni, la frantumazione della casta, la pratica del dialogo.
Ecco, l'ammonimento più severo e vitale del voto di domenica, con quello scarto così esiguo tra chi ha vinto e chi ha perso, è proprio la necessità del dialogo a tutto campo tra maggioranza e minoranza, dentro e fuori le istituzioni, sui confini antichi e su quelli in divenire della regione Umbria.
Quella che è uscita dalle urne assomiglia anche un po' a un'Assemblea costituente, che lavora già per l'Umbria di domani. Spetta alla maggioranza lanciare progetti talmente ampi e culturalmente fondati da ottenere, su quelli, il lavoro critico dell'opposizione, il contatto costante della popolazione umbra, la partecipazione attiva delle forze politiche che non sono entrate nell'Assemblea.
In questo senso va interpretato il minimo scarto di voti che consegna la rocca di Palazzo Cesaroni al centro-sinistra umbro: come minimo comune multiplo della progettualità che non esclude e della passione che non separa.

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