Come e perché si è aperta una nuova faglia più a nord

Dal Corriere della Sera, di Giovanni Caprara

Così si è aperta una nuova faglia

«Repliche tanto forti dopo il terremoto del 24 agosto non le avevamo escluse ed ora si sono verificate». Massimiliano Cocco dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) conferma quanto le violente scosse di ieri alle 19.10 di 5.4 della scala Richter e quella ancora più forte delle 21.18 di 5.9/6 siano figlie del tragico sisma del 24 agosto (6 gradi della scala Richter) ancora una volta capace di ferire la Penisola portando lutti e distruzioni. Da allora si erano registrate ventimila repliche in un’area di quaranta chilometri, 15 delle quali di magnitudo tra 4 e 5 e 250 tra 3 e 4. Finché non è arrivato lo scossone di ieri uguale nell’intensità a quello che si era manifestato un’ora dopo il sisma più grave. L’epicentro della prima era tre chilometri da Castelsantangelo sul Nera e a dieci chilometri a sud di Norcia, sul confine tra Marche e Umbria, e la seconda poco più a Nord, si sono originate entrambe a 8-9 chilometri di profondità (ipocentro), la stessa di agosto.

Placca africana
«Allora — spiega Massimiliano Cocco — la zona aveva subito un abbassamento verso il Tirreno di venti centimetri mentre l’Appennino si distendeva sui due versanti». Proprio a causa dello sprofondamento, misurato dai satelliti CosmoSkymed dell’agenzia spaziale italiana Asi, dalla faglia principale si creava un sistema di faglie che si diramavano nel sottosuolo influenzandosi a vicenda e mantenendo il persistere delle repliche di diversa intensità. In questo modo si duplicava la situazione del sisma dell’Aquila quando nei sette mesi seguenti i pennini dei sismometri sobbalzavano per 64 mila volte sia pure in modo diverso. Naturalmente lo scenario di base che continua a muovere la terra rimane lo stesso (la placca africana che spinge verso quella euroasiatica) ma adesso, pur nelle ipotesi manifestate allora che ripercorrevano vicende di altri terremoti storici, si guardava con circospezione al primo evento di ieri sera.

Nuove fratture
«Per due motivi — precisa Massimiliano Cocco —. Il primo è che aveva raggiunto un’intensità rilevante impossibile da sottovalutare. La seconda è che si sviluppava al limite del margine settentrionale del sistema di faglie creatosi nella zona già colpita in passato. Si sperava e si temeva che non succedesse qualcosa d’altro, un’estensione verso Nord-Ovest, verso l’Appennino. E a distanza di poco più di due il timore e la preoccupazione diventavano realtà con la seconda scossa più forte». Non si trattava dunque della stessa prima faglia agostana ma qualcosa di nuovo si manifestava capace di testimoniare quanta energia sia ancora nascosta nel sottosuolo e che ha bisogno, sfortunatamente, di trovare via d’uscita scatenando nuove fratture. «Purtroppo il volume della crosta terrestre che si era fratturato in quei giorni era ampio e non si poteva escludere che si aprissero altre nuove faglie come quella di ieri. Anzi ora si è aperta una nuova zona di fratture più a nord che potrebbe innescare ulteriori movimenti».

Crosta terrestre complessa
Non c’è invece alcun legame con il sisma registrato nella serata del 25 ottobre a Castelfiorentino, vicino a Firenze, che ha raggiunto i 3,9 gradi della scala Richter. A questo punto ulteriori repliche sono da aspettarsi sempre nella stessa zona nuovamente colpita ripercorrendo i casi del terremoto di Castelfiorito e del Friuli quando in tempi successivi e variabili il sisma continuava la sua azione distruttrice. «Quanto accade — conclude il sismologo dell’Ingv — conferma l’elevata complessità della crosta terrestre sulla quale si elevano gli Appennini. E più si indagano i diversi eventi più emergono elementi nuovi che necessitano di ricerche per approfondire uno scenario la cui identità ancora la scienza non sa e non può delineare con certezza nelle sue tremende espressioni».

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