DIS…CORSIVO. APOLOGO DELLE VECCHIE LEGGI

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Mandare in archivio vecchi strumenti di legge non è cosa che si fa, mai, a cuor leggero. L’ape regina, alla vigilia di una fondamentale stagione di rinnovamento, aveva fatto costruire dei pacchetti normativi nei quali il vecchio giure di quarant’anni prima, non cancellato a regola d’arte, finiva per interferire in maniera improvvida nell’impalcatura legislativa proiettata sul futuro.

Così, erano state avanzate contestazioni burocratiche e, nella giustificazione del tutto prodotta dall'ape regina, si ammetteva che la traccia di vecchie leggi aveva lasciato un segno che non doveva lasciare, oltre la memoria di sé, al legislatore che stava per insediarsi.

E, in effetti, cosa ci sarebbe stato da censurare di più: l'imprecisione tecnico-giuridica o l'impatto memoriale della consuetudine legislativa dei padri?

La burocrazia non conosce sentimenti, per cui c'è da pensare che non possa essere stata la memoria indelebile di vecchie leggi a causare l'errore, la contraddizione fra le varie parti di un Testo Unico.

L'ape regina, però, uno spazio ai sentimenti, nel fermento della politica, voleva continuare a lasciarlo. Quando parlava di vecchie leggi, aveva il tono accorato di chi sente tramontare una stagione del riformismo di un paese e si propone, mandando in archivio il vecchio giure, di conservarne la memoria culturale, l'atmosfera politica nella quale la legge si è formata e per la quale ha cercato di produrre, al meglio, i suoi effetti.

Questo ponderato atteggiamento di guida della comunità del suo paese doveva avere qualche effetto dinamico sulla stagione legislativa nuova che stava per inaugurarsi. Così, chiuso l'incidente della formale contraddizione tra vecchie e nuove leggi, l'ape regina invitava i suoi nuovi collaboratori, in particolare colui che per scienza ed esperienza appariva il più idoneo ad accogliere l'invito, a considerare, nella stesura delle nuove leggi, anche quel lato “passionale” che è sinonimo di vitalità culturale condivisa senza portare più con sé alcuna partigianeria pretestuosa.

E non passa forse da qui la riprova dell'efficacia culturale di ogni nuovo riformismo, dal modo in cui, cioè, si scrivono le leggi in ogni materia e in ogni campo d'intervento?

L'ape regina lo aveva capito guardando ai percorsi legislativi fatti dai suoi predecessori nell'agricoltura e nella sanità, nella cultura e nel turismo, nel sociale e nelle infrastrutture. Aveva visto, scorrendo le raccolte votate dalle tante, precedenti assemblee legislative del suo paese, che i passaggi dai vecchi ai nuovi assetti normativi erano stati sì lenti e graduali, ma, quando occorreva, decisi e tempestivi.

Soprattutto, c'era sempre stato il rispetto profondo per la storia del paese, per i suoi valori civili e per le sue tensioni spirituali. E questo rispetto era stato così capillare che aveva dato vita a tanti, diversi modi di scrivere le leggi, nelle quali si trasfondevano sensibilità diverse e abilità che ci tenevano a distinguersi le une dalle altre.

Adesso era venuto il momento di una sintesi superiore, fatta di preamboli meno ampi sul piano culturale e più essenziali di efficaci nell'interpretare il cambiamento.

Anche lo stile doveva unificarsi, una stessa mano doveva sovrintendere ad argomenti di diverso impatto sulla società. Ed era giusto che fosse così, ma bisognava trovare qualcosa che sostituisse alla vecchia passione politica delle leggi di un tempo la forma di un pathos civile e di un calore comunitario tutti in divenire.

Il tecnico, il giurista, avrebbe dovuto indirizzare la cultura ascoltando la cultura in ogni campo, in ogni autenticazione e in ogni autenticità sociale, altrimenti sarebbe diventato anche lui un burocrate.

Anche in questa sfida, l'ape regina rischiava del suo, ma è ancora così vicina la storia del suo esperimento che gli effetti del rinnovamento legislativo voluto con le riforme nel modo di scrivere le leggi non sono ancora oggi del tutto ben valutabili.

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