DIS…CORSIVO. LA LEGGENDA DEL PUBBLICO IMPIEGO

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / C’era una volta il pubblico dispiego di risorse finanziarie, che aveva bisogno di personale adatto a mettere i denari nelle caselle giuste dei progetti finanziati dallo Stato. A questo complesso di uomini e donne, amanuensi e poi digitali trascrittori delle idee e contabili dei ragionamenti, si dava il nome di pubblico impiego. Oggi il pubblico dispiego è diventato sempre più una fonte disseccata e il pubblico impiego è diventato il pubblico ripiego, la cattiva coscienza di decenni e decenni di sprechi di risorse umane associata alla mai avvenuta fino in fondo riqualificazione di impiegati e ragionieri.

Mentre, però, la fonte del dispiego si è andata così prosciugando, il pubblico impiego ha trovato il modo di incoronare una classe di super impiegati, denominati dirigenti, con lo scopo di gestire managerialmente le ancore di salvataggio che la politica voleva calare sul fondo a protezione delle proprie scelte, particolarmente affannose in tempo di crisi.
La bella favola del pubblico dispiego sta arrivando alla pagina finale del racconto. Di conseguenza, nel pubblico impiego, in molte parti d’Italia, si comincia a parlare di esuberi, di mobilità del personale, di ricollocazione delle risorse umane come – e peggio – che in un’azienda privata. Mentre, però, chi ha a che fare con il profitto di un privato ha da sempre messo in conto che un licenziamento, prima o poi, può starci, il pubblico impiego non è assolutamente preparato a questa evenienza. Generazioni e generazioni di impiegati e ragionieri sono cresciute e hanno svolto i loro incasellamenti amministrativi nella sicurezza di un contratto a tempo indeterminato, arrivando esausti, demotivati e poco felici alla fine di una carriera. L’incidenza delle loro rivendicazioni salariali sulle trattative sindacali è sempre stata modesta, poiché, alla base di tutto, c’era il compenso del posto fisso, merce, invece, poco o per niente diffusa nei rapporti di lavoro privati.
Le armi che oggi usa il pubblico impiego per tentare di arginare i primi assalti alla sua atavica intangibilità sono il valore professionale del proprio lavoro, la disorganicità con cui vengono colpiti alcuni apparati dello Stato e dei poteri locali mentre altri comparti restano a bearsi nell’Eden del posto garantito, la difesa a oltranza delle proprie ragioni anche a costo di fare muro contro il mare di precariato che ruota attorno alle costiere del posto fisso. Sul fronte opposto, il pubblico impiego sa di doversi difendere dall’implacabile e necessaria razionalizzazione complessiva del mercato del lavoro e, soprattutto, sa di non avere dalla sua parte l’opinione pubblica, che ha sempre considerato, senza remissione, una fonte di spreco di denaro pubblico le dotazioni di personale di enti, ministeri e poteri locali, specie quando, quell’opinione pubblica, si è trovata esclusa, per concorsi o per altre vie, dalle assunzioni messe a bando.
Il pubblico impiego è e sempre più sarà preso nel mezzo dei conti che la politica deve fare con la propria disseccata fonte del pubblico dispiego e lentamente non sarà neppure più il pubblico ripiego, cioè il porto tranquillo nel quale riparare anche a costo di rinunciare a sogni più ambiziosi. Deve, perciò, guardare esclusivamente dentro le proprie schiere, imparando di gran fretta alcuni comportamenti di dignità oppositiva che sono: contestazione palese e plateale di tutte le sovrastrutture dirigenziali, apicali e pseudo manageriali che sono sulla testa di operai, impiegati e ragionieri; rinuncia ad agire nella guerra tra poveri che in molte situazioni s’innescano a causa di vecchi ricatti e di lontane appartenenze lottizzanti; presa di distanza critica dalle rappresentanze sindacali, nelle quali agisce molto pesantemente l’ipoteca partitica della origine delle sigle; coraggio di denunciare gli sprechi presenti in molti altri comparti produttivi che, sempre appartenendo alla sfera pubblica, la politica non riesce a toccare perché lobbies troppo forti.
Da questi comportamenti potrebbe uscire un pubblico impiego riposizionato su interpretazioni originali del nuovo mercato del lavoro, un pubblico impiego come non lo abbiamo mai conosciuto, capace di anticipare le scelte stesse della politica, che oggi non sembrano tenere né trattabili, con l’orgoglio di chi sa accettare la sfida anche senza agitare inutili bandiere o, peggio, piangere palesemente per la perdita di privilegi concessi tanto incautamente qualche anno fa.

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