DIS…CORSIVO. LA SOLITUDINE DI UN CAPOLAVORO

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / grandi pittori, i maestri i cui nomi vengono oggi associati sempre più spesso alle “terre” nelle quali si sono mossi e hanno lavorato alcuni secoli fa, cos’hanno da guadagnare dalle moderne e contemporanee operazioni di marketing turistico-culturale in cui sono coinvolti ad ogni passo dell’intraprendenza di Comuni e Regioni?

Il problema, d'acchito, può sembrare secondario, perché primaria è l'esigenza del marketing e la notorietà delle opere dei maestri ormai viaggia su livelli talmente consolidati che non si vede cosa possa rimetterla in discussione, in più o in meno.
Eppure, proprio questa lampadina che s'accende, questo dubbio residuale sul più e sul meno della gloria o del disinteresse di una pittura secolare, dovrebbero farci riflettere di non pensare solo a noi, al nostro concreto interesse, ma pur sempre anche a quello dei maestri delle cui opere approfittiamo.
Quando allestiamo una mostra, o provochiamo un itinerario nelle aree geografiche in cui sono conservate le opere degli artisti della tradizione, pensiamo, per favore, anche al gusto, al piacere della rilettura, alla proficuità dell' interpretazione nuova che possono scendere sulle opere che mettiamo negli elenchi e nelle indicazioni rivolte ai visitatori!
L'esortazione mi viene spontanea perché spesso, se non sempre, si sente circolare un messaggio a senso unico, orientato solamente a convincere i turisti a visitare una “terra” sulla base del fatto che qui, qualche secolo fa, ha operato un maestro di fama mondiale.
I criteri di lettura, le analisi di storia dell'arte sono dati per acquisiti, gli studi non progrediscono, l'apparato critico offerto al visitatore è quello uscito vincente da dispute di critica del gusto che, ormai da decenni, non forniscono ulteriori spunti di avvicinamento alle opere.
Non se ne avrà chi ha avuto la lodevole idea di inserire il Polittico di Sant'Antonio, conservato nella Galleria Nazionale dell'Umbria, nell'itinerario delle “terre” di Piero della Francesca. Non se ne avrà a male, ripeto, ma proprio questa necessaria aggiunta a un tour che vede l'Umbria “terra” marginale fa risaltare la solitudine di un capolavoro di fronte ai flussi turistici che la cultura gli tesse intorno.
Perché limitarsi, in questo caso, a segnalare che l'ingresso di Perugia nel progetto delle “terre di Piero” “permette l'approfondimento di un tematismo culturale e costituisce un potenziale veicolo di promozione del territorio” fino alla “banda larga” gastronomico-folcloristica? Che cosa ci guadagniamo noi, territorialmente, e che cosa ci guadagna invece, culturalmente, il Polittico di Piero, così tanto sagomato di luce che ancora oggi la critica non riesce a spiegarci i turbamenti della visione che lo dominano, per parlare solo, ad esempio, della luce notturna che invade la scena della predella intitolata alle stimmate di San Francesco?
Le stesse domande le pongo a proposito di altri esempi di solitudine dei capolavori che si possono citare dal recente passato. Senza tornare alle grandi mostre su Perugino e su Pintoricchio, non v'hanno dato l'impressione di soffrire di specchiata solitudine le tele del Canaletto che ci sono arrivate da Parigi? Esse, poi, tolte dal sublime allestimento del museo parigino, dovrebbero aver sofferto quanto meno di agorafobia quando sono state collocate nelle immense sale della Galleria di Perugia: così fuori luogo, così fuori misura!
Forse solo l'arte contemporanea può entrare disinvoltamente in spazi museali del passato proprio perché non ha, ancora, un passato. Ma le opere, i capolavori, che è un passato ce l'hanno, come potranno con altrettanta facilità piegarsi alle necessità numeriche del marketing turistico culturale?
Insomma, dunque, per tornare a Piero e per concludere questa breve nota critica, la proposta è questa: non accontentiamoci della routine e dei risultati consolidati dello specialismo; tessiamo invece, davvero, intorno ai capolavori, delle reti sensoriali (ma niente tecnologie, per carità!) per mezzo delle riletture - di poeti e filosofi, scrittori e scienziati – fatte e compiute, messe in scena davanti al pubblico che si muove per le “terre” di Piero in cerca, prima di tutto, di Piero e poi, forse, anche di un buon primo e di un gradevole bicchiere di vino.

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