Dis…corsivo. Leone XIII

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Le riprese televisive, si sa, mettono in luce il protagonismo e accreditano le parole. Talvolta, però, se si inciampa in qualche errore in diretta – e l’errore non è trascurabile pur essendo un lapsus – il soggetto che ha avuto l’onore della telecamera puntata su di sé deve pure accogliere il pelo nell’uovo che il polemista cerca come il pane quotidiano dei suoi interventi.

All’inaugurazione della mostra di Assisi “I Giubilei della Chiesa da Leone XIII a Francesco”, mentre andavano, nel filmato di un giornale umbro on line, le immagini di Leone XIII benedicente e dei suoi cortei con l’apparato della Curia, il pubblico presente era avvertito del fatto che si trattava del “cardinale Ratti, il cardinale di Perugia”, colto nelle prime riprese cinematografiche della storia millenaria dei Papi.

Ecco il lapsus: non posso pensare che sia stata altra cosa da una svista dovuta all’emozione del raccontare la mostra l’equivoco tra il nome del cardinale Achille Ratti (Papa col nome di Pio XI dal 1922 al 1939) e quello del “nostro” vescovo – e cardinale – “perugino” Gioacchino Pecci (Papa, appunto, col nome di Leone XIII dal 1878 al 1903).

E per il lapsus basta.

Quello che mi ha dato più fastidio, veramente fastidio, viscerale fastidio, è il continuo ironizzare – da parte del pubblico e della guida alla visita – sul “Papa in movimento” che, a comando, impartisce benedizioni senza dare l’aria di capirci più di tanto di fronte al primo cinema che lo avrebbe immortalato. L’età, si dice, il set ricostruito per dare modo agli operatori di effettuare le riprese, ma sta di fatto che se scorrete alcuni secondi di quel filmato dell’inaugurazione della mostra di Assisi avete l’impressione di un pubblico molto poco incline, diciamo così, a perdonare al Papa la sua lentezza e la sua goffaggine. Al contrario, tutti sembrano divertirsi come se il soggetto fosse un figurante piazzato sul trono papale per creare l’effetto implicito di una comica finale.

E il video finisce lì, ha il pudore di non tirarla troppo per le lunghe, anche se bastano quei pochi secondi per far capire che la diretta è impietosa e che forse quel pezzo andava tagliato.

E non per pruriti di qualche nostalgia curiale e prelatizia – dei quali mi sento in tutta onestà privo – ma semplicemente per avvertire che, con la competenza storica della quale sappiamo non essere certo priva la guida della mostra, ci saremmo aspettati, lapsus a parte, una maggiore considerazione di fronte all’immagine un po’ caracollante del Papa della “Rerum Novarum” e del primo Giubileo dopo l’Unità d’Italia, del cardinale che da vescovo di Perugia aveva molto fatto parlare di sé durante il Risorgimento, nel bene e nel male, dell’uomo di chiesa al quale perfino Giovanni Pascoli dedica – in “Odi e inni” – la poesia celebrativa del fatto giubilare di Leone XIII, “La porta santa”.

E del grande latinista, dell’uomo che sapeva guardare dentro la sua anima così a fondo che, avvicinandosi la fine come mostrano le immagini in movimento, anziché pensare di far ridere un pubblico di posteri, per la posterità, il 15 luglio 1903, aveva scritto in latino (qui ne do solamente la traduzione in italiano) i seguenti versi:

L’anima che geme

Meditazione notturna

L’ora fatal s’appressa; ecco è già ora

Leon, che lasci la terrena stanza,

lieto movendo all’ eternal dimora.

Ma qual sorte t’aspetta? Ahi! di speranza

gli occhi lucenti al cielo un giorno alzavi,

per tanti doni ond’avea ‘l cor fidanza.

Al grave peso delle somme chiavi,

da molt’ anni sofferto, or pensa e gemi,

chè l’alto ufficio l’alma tua non gravi.

Chi più onora, più convien che tremi,

misero, allor che il giudice severo

gli sta innanzi ne’ momenti estremi.

Ma lo smarrito cor, dolce un pensiero

A consolar mi viene; odo un accento

Così gentil, ch’io prendo lena e spero.

“Perché, dice, perché tanto spavento

Col rimembrar de’ passati anni t’accora,

perché l’animo tuo vive in tormento?

Gesù, pietoso a chi perdono implora,

benignamente a te volge la faccia;

d’ogni colpa li monda: ecco è già ora

dell’amplesso di Dio: schiudi le braccia!”

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