Dis… corsivo. Mille anni di paesaggio

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Colpisce molto la notizia secondo cui il patron di Aboca, Valentino Mercati, sarebbe entrato in rotta di collisione con l’economia di Valdichiana e di Valtiberina a causa dei fitofarmaci usati da alcuni coltivatori di tabacco che inquinerebbero pesantemente le produzioni di medicamenti, ottenuti da piante, che hanno reso famosa e richiesta la sua azienda.
Le denunce di Mercati, le difese degli agricoltori citati da Aboca, l’intervento, da ultimo, dei sindaci di Città di Castello e di San Giustino dipingono un quadro ancora, più che preoccupato, incredulo.
Non ci si capacita, cioè, del fatto che un idillio ambientale forte come quello umbro-toscano possa spezzarsi tanto all’improvviso, specie adesso che fa le due Regioni si fanno le prove della possibile fusione al centro dell’Italia.
Eppure, le cose stanno così, al punto tale che aree meno” contaminate” di quelle del confine fra Umbria e Toscana sarebbero già state individuate da Mercati in Sardegna e nel Marocco.
In situazioni del genere – interessi commerciali e battaglie legali a parte – ci sono solo piccole certezze culturali dalle quali ripartire.
Una di queste è offerta dal vanto, tutto umbro, di ospitare, a Giano, l’ulivo, stimato millenario, che dovrebbe conoscere ogni segreto con il quale i nostri antenati sono riusciti a tramandarci quell’ambiente così pulito sul quale stiamo fondando le fortune turistiche della nostra regione.
La domanda è: com’è possibile che un paesaggio che riesce a far prosperare per dieci secoli una pianta d’ulivo va in crisi perché non ci sono più le condizioni per far fiorire, in tutto il loro potere depurante, calendule e camomille, per non dirne che due, di piantine, forse anche le meno collegate alla battaglia legale in corso?
Forse che, nella storia millenaria dell’ulivo di Giano, l’Umbria non ha conosciuto vicende di crisi per il crescente peso di chimica e fertilizzanti? Quante altre volte i campi umbri sono stati intaccati nella loro purezza ambientale per poi riprendersi, però, e continuare a prosperare raggiungendo un superiore equilibrio paesaggistico e produttivo nello stesso tempo?
Vorrei che si potesse rispondere a questa domanda e a tante altre, simili ad essa, prima di abbandonare il terreno alle dispute nei tribunali e alle politiche petizioni di principio.
La responsabilità nei confronti dell’ambiente nel quale si vive e si opera appartiene sempre alla coscienza dei singoli cittadini ed è sempre stata questa chiarezza con se stessi, non inquinata da alcuna remora commerciale e da nessun interesse produttivo o di mercato, a permettere di coltivare con giudizio e di produrre in armonia. Qualunque contrasto, invece, ha avvantaggiato, sul momento, la parte più forte senza far progredire, però, il sistema regionale (o macro regionale) nel suo insieme di sistema utile anche all’immagine turistica di questa terra.
E la questione, allora, diventa anche istituzionale, coinvolge cioè la prudenza e il buon calcolo delle istituzioni, le quali dovrebbero partire dalla risoluzione di problemi simili a quello dell’Alta Valle del Tevere, su questo e su altri confini dei loro territori, anziché muovere da più rigidi pronunciamenti di integrazione dei servizi di base per una macro regione umbro-toscana. Come il vecchissimo ulivo di Giano, mille anni di paesaggio umbro-toscano – da Giotto ai maestri del Quattro-Cinquecento ai nostalgici ritratti dell’Ottocento e di buona parte del Novecento – qualche buon tratto incontaminato in più di deserte lande riarse non possono non averlo conservato ed elevarlo al cielo punteggiato di fertili colline è un compito che spetta alla civiltà dei sentimenti onorare e tramandare.

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