DIS…CORSIVO. PIAZZA MADRE CECILIA

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Nel frastuono dell’inaugurazione della nuova Monteluce, la notizia dell’intitolazione della piazza a Cecilia Coppoli è passata in secondo piano.

Al secolo, come si dice, la donna non esiste. Esiste, invece, Elena Coppoli, figlia di Francesco Coppoli, personaggio di qualche nome e bene in vista nella Perugia del primo Quattrocento. Elena si chiamò Cecilia, come ci viene ricordato nel breve corredo di documentazione, quando divenne clarissa, clariana convinta della regola più stretta, riformatrice di monasteri, tra Foligno, Urbino e, appunto, Monteluce, morta in odore di santità il 2 gennaio del 1500.
Allora, perché permettersi di recare un onore, con l’intitolazione di una piaza del futuro, a una donna del passato senza dare a quella donna i contrassegni precisi di ciò che è stata? Una religiosa, è stata, una madre abbadessa, un’osservante rigidissima della povertà, una beata. Perché è mancato il coraggio di intitolare la piazza, anziché all’anagrafico inesistente di Cecilia Coppoli, allo storico comprovato di “Madre Cecilia”?
Suonerebbe anche bene, se ci prestate un po’ l’orecchio: Piazza Madre Cecilia – Monteluce – Perugia.
L’anagrafico, inesistente, sa di snobismo intellettuale laico, di quell’atteggiamento un po’ radical un po’ sciocco che si ostina a voler fare i conti con la tradizione mettendoci, però, l’ipoteca della modernità, dell’attualizzazione, della secolarizzazione.
Ma, a Monteluce, cosa c’è ancora da secolarizzare? Del Monastero di Madre Cecilia – o della Beata Cecilia – durante gli scavi pare non sia venuto alla luce alcun tratto architettonico. L’ospedale, un secolo fa, ha secolarizzato a sufficienza l’opera di laicizzazione delle strutture religiose cominciata l’indomani dell’Unità d’Italia. Tutto il quartiere circostante, a quanto se ne sa, è addirittura fuori della grazia di Dio: impoverito e negletto dalla partenza del nosocomio, spera nella provvidenza di una visione non incauta degli amministratori di Perugia e dell’Umbria per risorgere attraverso attività commerciali e locations per gli studenti; rifatto col nitore dell’urbanistica più avanzata, spera ardentemente che non debba essere conteso, come accade per Piazza del Bacio, alla malavita di varia etnia.
E, in tutto questo agitarsi di problemi, il 19 scorso è andata in scena un’inaugurazione di gran parata e di media partecipazione popolare, a giudicare dalle immagini.
Chissà in quale angolo di quella piazza a lei intitolata, Madre Cecilia ha ritrovato la traccia del suo antico insediamento, a noi sconosciuto, e vi si è appartata, fuori dei clamori che l’hanno portata agli onori pubblici senza farle l’onore più grande, quello del nome religioso per il quale tanto ha lottato e si è sacrificata!
Di lei sappiamo che, prima di diventare suora clarissa, coltivò così bene lo studio del greco e del latino che cominciò a scrivere versi. Allora si chiamava, appunto, Elena Coppoli, ma chi avrebbe mai pensato di onorare oggi, nella Monteluce del futuro, una femme écrivain del quindicesimo secolo? Però, a pensarci bene, vista da quEll’angolatura, piazza Elena Coppoli sarebbe stato un bello sfizio radical. Lo spirito religioso si sarebbe risentito, saremmo dovuti tornare sulla donna di chiesa. Magari, appunto, con un po’ di coraggio in più, contemperato fra l’anagrafico inesistente e il titolo dato dalla chiesa: tra Cecilia Coppoli e Beata Cecilia Coppoli, più ne scrivo e più me ne convinco, Madre Cecilia sarebbe stato, di tutti. il nome più opportuno.

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