DIS…CORSIVO. RAMOSCELLI D’OLIVO

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Con molta circospezione si guarda, quest’anno, alle varie feste per l’olio novello alle quali Comuni grandi e meno grandi non hanno voluto rinunciare nonostante i danni causati in grande stile e su vaste aree geografiche dalla mosca olearia. Il desiderio di incrementare il mercato con i tradizionali richiami nei frantoi nel momento e subito dopo la spremitura delle olive è valso, alla fine, più del sordo dispiacere per un’annata che da tempo ormai si sapeva compromessa. In tempi di raccolte abbondanti, si è considerato che si poteva contare sull’immagine, sull’evocatività, sul mito che l’olivo si porta addosso fin dalla Grecia per rendere più solidi i profitti dell’imbottigliamento e del consumo di tutti i giorni. Ogni andamento climatico avverso, ogni gelata, finora scompariva nel momento magico di ritrovarsi immersi nell’atmosfera calda dei frantoi al lavoro, in pieno novembre.

Oggi, invece, con quale coraggio si celebra una festa compromessa dal dolore per non aver potuto raccogliere nemmeno un'olivetta dai rami ancora lucenti e gloriosi sotto il sole caldo di questa fine d'anno? Non sono un po' stonati i programmi che esaltano un olio novello del quale non si può esagerare, con i colori e con i profumi, con i sapori e con i gusti, la qualità bassissima e la quantità scarsissima? Che ne è della verginità del liquido dorato, sposata con fragore nelle padelle dei soffritti della cucina locale?
Non sappiamo quale olio condirà le nostre pietanze nei prossimi mesi e, quanto all'acquisto, dobbiamo sperare nella buona fede di chi ci fa trovare, sui ripiani dei supermercati, bottiglie d'olio in grande varietà, come se niente fosse successo di così drammatico per l'agricoltura in questo 2014. Trionfano le scorte di olio dell'annata precedente e, come in un'economia di guerra, si cerca, nel presunto contadino, il prodotto genuino, anche se stagionato e un po' meno ricco di quei polifenoli, magici antiossidanti, che dopo un anno tendono a svilire anch'essi.

C'è stato, per uscire dalle favole, chi ha ricordato un precedente di analoga gravità e ci ha ricondotto col pensiero al 1990. Anche allora la temuta mosca olearia danneggiò massivamente le drupe prima della raccolta. Ma quest'anno è anche peggio perché – si dice - allora era un'altra epoca e la qualità non aveva raggiunto i livelli attuali. Oggi – si conclude - se non si fa alta qualità non si può stare sul mercato.

L'agricoltura, insomma, non è mai stata una festa, un hobby. Ce lo siamo, forse, un po' dimenticato, trasportati dalle gonfie vele di annate fortunate e dall'esuberanza profusa a piene mani dai vari frantoi aperti, delle cui delizie si è reso complice il consumatore di città, che ci ha fatto sempre un po' la figura del topo di città che va a trovare il topo di campagna senza essere ricambiato, come nella favola, dalla visita di quest'ultimo, che, nel nostro caso, preferisce rimanere in campagna accanto ai suoi olivi e si guarda bene dall'andare a comprare l'olio al supermercato.

Se quest'anno, però, anche il topolino di campagna dovrà decidersi a fare questo passo o, comunque, accontentarsi di una qualità più scadente, non sarà un po' perché nell'oliveto, al momento opportuno, forse ci è andato meno di quanto era necessario? Della cosa è convinto un produttore eccellente di Casoli, in Abruzzo, Tommaso Masciantonio: “Tutte le mattine ho monitorato le olive del porticato di casa e sono partito in anticipo con la raccolta più per curiosità che per necessità. L'arma da utilizzare per non trovare sorprese è stare in allerta. Anche in vigna si lavora in maniera preventiva. Lavorare nell'oliveto invece è consuetudine di pochi. Quest'anno emergeranno le aziende che fanno agricoltura a tempo pieno, male per gli hobbisti, può servire come lezione per i prossimi tempi”. Una bella frustata, non c'è che dire, uno schiaffeggiamento dato con un ramo di foglie d'olivo. Chi si vuole sentire colpire, s'accomodi con la coscienza. Per il resto, questa sferzata può servire a rilanciare il discorso anche da noi, in Umbria, terra in cui si conosce più che bene la difficoltà di tirare avanti un oliveto e la differenza che fa avere le piante a valle, sulla media collina o più in alto ancora o godere di diverse esposizioni alla luce e alle correnti.

Ricominciamo, dunque, da qui, da uno sguardo malinconico, ma non triste, alle piante che quest'anno si sono viste divorare il frutto dalla mosca. Quelle piante sono ancora belle, struggentemente belle sotto i raggi bassi del sole di novembre. Aspettano l'annata della rinascita. Questa è la più bella festa dell'olio che, a fine 2014, si può fare in onore dell'agricoltura: un po' meno nel frantoio, un po' più, senza metafore, sul campo.

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