Dis…corsivo. Una riflessione sul “Sentiero di Francesco”

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Il valore universale che si dà al “Sentiero francescano della pace Assisi-Gubbio”, proprio perché ridenominato “Sentiero di Francesco”, esige che si rifletta un po’ più di quanto si sta facendo sul protagonismo della figura del Santo di Assisi lungo il tragitto del quale ci interessiamo. A me, in particolare, viene di chiedere: quando facciamo il suo nome in relazione al percorso che, tracciato nell’anno giubilare del Duemila, è stato frequentato, abbandonato e adesso ripreso con grande fervore, di quale Francesco stiamo parlando?
Non esiste, infatti, un Francesco a tutto tondo, santo già dalla sua giovinezza. E non mi riferisco, ovviamente, all’adolescente brioso e intemperante che faceva la disperazione del padre, ma proprio all’uomo rinnovato e trasformato dopo la chiamata di San Damiano che, però, non sa ancora quale direzione di vita prendere, quale programma di riforme presentare a chi intende seguire il suo cammino, quale tipo di comunità fondare non più solo ai margini delle città medievali, ma dentro le loro stesse mura.
Ecco, ho sempre pensato che la via di Gubbio sia stata presa, per la prima volta, da Francesco nelle condizioni di assoluta incertezza su tutto che egli vive subito dopo la sua conversione. Non è, quello del 1207, né un cammino eroico né un percorso esaltante. È un viaggio della più desolante solitudine, ravvivato da una sola cosa: la capacità di canto che Francesco, dopo avere rinunciato a tutto, scopre come unico ponte fra sé e il mondo e, soprattutto, fra sé e il creato.
L’universalità, dunque, che oggi si può scoprire e riscoprire nel “Sentiero” che va da Assisi a Gubbio è quella di un messaggio di Francesco tutto ancora da costruire, da mettere insieme, come se ancora, come nel 1207, ogni elemento intorno fosse ostile all’affermazione di una volontà di pace e di bene.
L’universalità del francescanesimo, così, certo viene storicizzata e circoscritta alla condizioni spirituali, ancora incerte e provvisorie, del suo protagonista. Ma non è bello, andando sul “Sentiero”, questo sentirsi vicini, compagni di strada, a un uomo che si sta convertendo e trasformando, che ancora non ha deposto del tutto l’uomo della borghesia per fare posto all’uomo di Dio che lentamente diventerà negli anni successivi?
L’impressione, invece, che a camminarci accanto sia il santo aureolato della sua piena maturità è molto marcata leggendo la filosofia che ispira, ogni anno, negli ultimi anni, l’invito a percorrere il “Sentiero di Francesco”. Bisognerà, al contrario, non dimenticare mai che queste – o simili – strade fra i boschi hanno accolto un uomo frastornato e confuso, per il quale la rinuncia ai beni paterni non era stata certo il gesto baldanzoso di tanta bella pittura, ma l’azione, piena di slancio, di un giovane consapevole della rottura che provocava nella famiglia e nella città lasciando in terra, davanti al Vescovo, le sue vesti.
Il giovane Francesco d’Assisi che parte per Gubbio ha bisogno di riprendere fiato, teme i suoi possibili passi falsi, si sta addestrando al disprezzo della propria vita, deve mettersi alla prova. E non conosce altro mezzo per progredire che il cammino, dando a questo cammino il senso non casuale di una “missione” a Gubbio, città dalla quale poteva aspettarsi – grazie alle amicizie che lì aveva – un qualche aiuto nella sua attività a favore dei lebbrosi che aveva intrapreso ad Assisi.
Così i motivi della conversione e quelli della concretezza dell’azione verso la comunità si fondono nel primo viaggio di Francesco in direzione di Gubbio ed è a questi motivi che bisognerebbe cercare di uniformare il senso del proprio pellegrinaggio lungo il “Sentiero” Assisi – Gubbio, che intitolandosi alla “pace”, una quindicina d’anni fa, ha denunciato i limiti della cultura politica circostante e che oggi, richiamandosi a messaggi ultra globali, sproporzionati rispetto alla caparbia, fallibile semplicità del giovane Francesco, rischia di correre lo stesso pericolo.

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