Il Festival delle Nazioni compie 50 anni, il presidente Giuliano Giubilei: ‘Edizione straordinaria, contaminazioni e vetrina per l’Umbria’

CITTA’ DI CASTELLO – La manifestazione tifernate, che quest’anno celebra il suo primo mezzo secolo, si presenta con un cartellone molto ampio e di elevata qualità. Dopo l’inaugurazione del 29 agosto con la Jugendorchester der Bayerischen Philharmonie, l’Orchestra giovanile della Filarmonica di Baviera, continua il programma ricco di iniziative culturali tra musica e spettacoli all’insegna di una vera e propria contaminazione artistica che conferisce alla kermesse un carattere unico oltre che transazionale.

Presidente Giubilei, come sta vivendo questa edizione speciale per i 50 anni del Festival delle Nazioni?

“Anche se il Festival è appena cominciato, la vivo con grande soddisfazione, perché la prima serata di apertura ha avuto un grandissimo successo sia tra il pubblico che tra molti addetti ai lavori compresi giornalisti ed esperti di musica che hanno trovato l’esibizione iniziale meravigliosa, grazie alla bravura dei protagonisti nonostante la loro giovane età, le esibizioni solistiche del maestro e pianista Henri Bonamy  e del violinista David Frühwirth. Una serata di apertura insomma molto entusiasmante. Questa sera si ricomincia con concerti importanti, domani sera invece c’è quello attesissimo di Ute Lemper. La prossima settimana sarà la volta del Quartetto d’archi dei Berliner Philharmoniker. Quest’anno terremo alto il tenore e la qualità del Festival per celebrare in modo straordinario questa cinquantesima edizione. Ci stiamo muovendo in questa direzione e speriamo di continuare così fino al 9 settembre”.

Come vengono scelte le nazioni con cui intraprendere un percorso condiviso sia sul fronte musicale che su quello artistico e culturale?

“Ciò è dovuto a un progetto iniziato tre anni fa che aveva come oggetto il centenario dello scoppio della prima guerra mondiale. Due anni fa proponemmo l’Austria, l’anno seguente la Francia e quest’anno la Germania. Cerchiamo di scegliere la nazione intorno alla quale elaborare una proposta musicale coerente con il progetto. Con l’Austria per esempio abbiamo riproposto la musica particolarmente brillante e vivace dei primi del ‘900, con la Francia abbiamo ripreso il periodo della Belle Epoque, con la Germania siamo andati un po’ più avanti per capire cosa è successo nel panorama musicale tedesco dopo la fine della prima guerra mondiale. Per aver una maggiore coerenza con ciò che proponiamo, stabiliamo un criterio che si basa sulla scelta di un certo periodo di tempo sul quale ricerchiamo degli autori. Anche se la scelta non è sempre rigidissima. Un altro criterio che adottiamo è quello di non scegliere troppo da vicino la stessa nazione. La Russia in questo triennio della prima guerra mondiale per esempio non è stata scelta perché l’avevamo selezionata qualche anno prima. Un altro criterio si basa sulla scelta di musicisti interessanti che stanno facendo un percorso stimolante e magari si parte da quelli per scegliere la nazione e su quello si costruisce il progetto. Poi individuiamo pure nazioni che non hanno mai partecipato, tipo Israele. Ma alla fine l’idea fondamentale è che cerchiamo di offrire una proposta di grande qualità perché di fatto questa è una scommessa sulla quale un festival come il nostro non può cedere perché la qualità della scelta è la cosa che ha tenuto in piedi questo Festival per tutto questo tempo permettendoci di ricevere apprezzamenti e riconoscimenti a livello nazionale e non solo”.

Qual è la novità più stimolante di questa edizione?

“Siccome a me piace anche la musica popolare, credo che rivedere Ute Lemper, che è stato un grandissimo personaggio negli anni passati, esibirsi sia di grande interesse. Anche la presenza di Michael Nyman, già nostro ospite, ha suscitato entusiasmo e quest’anno si propone con una performance molto stimolante perché sulla base di un cortometraggio di immagini della prima guerra mondiale, lui e la sua orchestra accompagneranno questo momento con suoni in linea con le immagini proiettate. Altro appuntamento molto seguito – paradossalmente più dall’estero che dall’Italia – è la celebrazione del settantesimo compleanno del maestro Sciarrino autore di musica contemporanea, che si svolgerà all’interno degli Ex Seccatoi del tabacco – Collezione Burri. Sarò poi io a intervistarlo per una chiacchierata ad ampio spettro”.

L’internazionalità del Festival rappresenta anche un importante momento di incontro e di dialogo interculturale. Come è stato costruito questo percorso di integrazione di diverse identità?

“Devo dire che questa è stata un’intuizione felice di chi ha inventato il Festival cinquant’anni fa, quando, forse più di oggi, esisteva l’idea da parte di tutte le nazioni europee, di creare un nucleo culturale unitario, e quando è nato il Festival nel 1968 con la proposta della storia culturale di una nazione in cui venivano chiamati in Italia i musicisti europei, l’ideatore ha avuto un’intuizione che ha avuto come centro un dialogo strettissimo tra tutte le storie e le culture. Inoltre mi preme sottolineare che numerosi spettatori abituali del Festival si sono trasferiti in Umbria e hanno acquistato anche case. La loro presenza e i loro stimoli sono stati importanti tanto che negli ultimi anni abbiamo anche avuto un esponente di spicco della cultura belga dentro il nostro Consiglio di amministrazione. Questo ha permesso al Festival di uscire sempre più dal provincialismo, rappresentando un tentativo virtuoso di guardare fuori dai confini regionali e nazionali”.

La manifestazione tifernate si pone anche l’obiettivo di promuovere le bellezze e le eccellenze artistiche e culturali del territorio. Come si concilia questa missione più localistica con l’esaltazione delle cultura della nazione prescelta?

“Si tratta di uno scambio. Ieri per esempio sono stati protagonisti del concerto un’ottantina di ragazzi musicisti molto giovani che presumibilmente sono rimasti in Umbria alcuni giorni, hanno conosciuto una realtà come Città di Castello magari hanno visitato anche Assisi. Questi giovani si porteranno dietro con il loro entusiasmo un bagaglio di conoscenze e di ricordi di questi bei posti, e a noi hanno portato quella freschezza, oltre alla loro bravura, che ci rimarrà impressa. Del resto, gli scambi culturali alla fine sono fatti da persone che hanno vissuto esperienze condivise, con momenti di scambio in nuovi scenari e contesti e l’Umbria da questo punto di vista ha molto da offrire. Credo che le manifestazioni culturali servano proprio a questo”.

Contaminazioni artistiche e celebrazioni di personaggi di fama mondiale quali Burri e Sciarrino. Come si possono intersecare tutti questi aspetti culturali?

“Fermo restando la qualità della musica, né io né il direttore artistico siamo dei conservatori, tanto che due anni fa abbiamo portato in piazza Goran Bregovic. Siamo molto aperti alle contaminazioni che cerchiamo di portare avanti anche inserendo spettacoli di musica popolare con artisti di alto livello”.

 

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