Inchiesta rifiuti, così gli inquirenti hanno scoperto il giro d’affari: truffati anche i Comuni. La gestione dei rifiuti attenzionata dal 2014, tra interdittive e indagini

PERUGIA – Un bidone da svuotare, ma di cui non si intravede la fine. Per questo si muove la Procura di Perugia si muove ancora sulla gestione dei rifiuti in una situazione di società collegate e intrecciate tra di loro e appalti pubblici. I filoni di fronte ai quali ci si trova sono tre. Primo il collegamento con le mafie, che hanno portato alle interdittive. Il secondo è ovviamente quello della raccolta differenziata e delle truffe ai Comuni. Poi il danno ambientale, col percolato finito nei torrenti e riaffiorato in aree boscate. Pericolo ancora in corso perché l’attività di Borgo Giglione è stata prorogata, così come per Pietramelina.

Il bubbone dei rifiuti scoppia il 12 ottobre 2015, con dodici indagati e i successivi blitz degli inquirenti a Pietramelina e Borgo Giglione. Il 27 ottobre c’è la firma dell’interdittiva antimafia per Gesenu, posta dall’allora prefetto Antonella De Miro. Interdittive che toccano le società gemelle e arrivano in Sardegna. Il problema erano le inchieste intorno al consorzio Simco, dove alcuni dipendenti venivano segnalati come affiliati ai clan Santapaola. La Diega viene arrestato a Viterbo. Alla Gesenu arrivano i commissari e il nuovo amministratore De Paolis e come presidente tocca a Luca Marconi. In questo quadro si lavora alla rimozione dell’interdittiva. Si arriva alla vendita delle quote private a Paoletti, con il nuovo cda che si insedia a luglio 2016. Venuta meno l’interdittiva scattano le manette per Sassaroli.

Un ruolo, quello di Sassaroli, che molti definiscono, come insostituibile. Per la magistratura Sassaroli è il “motore e principale punto di riferimento di tutti quei dipendenti, quadri, tecnici e collaboratori che hanno illecitamente cooperato tra loro nella commissione di reati”. Si va dall’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti nelle discariche di Pietramelina e Borgo Giglione e nell’impianto di Ponte Rio fino a una maxi truffa da 25 milioni di euro per 24 comuni, all’insaputa delle cariche sociali. Il meccanismo vede Sassaroli al vertice, accusato di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, inquinamento ambientale, falso in registri e in atto pubblico, frode in pubbliche forniture e truffa aggravata. In pratica Gest faceva pagare il servizio senza adempiere al contratto di gestione. L’attività di indagine inizia nel 2013 con le attività di indagine della Forestale. Si scopre che a Ponte Rio si attribuiscono codici falsi ai rifiuti per procedere all’illecito smaltimento in discarica. Emerge che gli indagati falsificavano le analisi del compost di Pietramelina per rivenderlo dimostrando l’efficienza dell’impianto di compostaggio. Erano taroccati i registri di carico e scarico, era illecita l’attività del ricircolo del percolato. Dal 2015 poi anche l’indagine della finanza.

 

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