Mostro di Foligno, il 7 agosto 1993 veniva ucciso Lorenzo Paolucci: 22 anni dopo, l’assassino fuori dal carcere

FOLIGNO – Il 7 agosto del 1993 moriva Lorenzo Paolucci, seconda vittima del mostro di Foligno. Lorenzo aveva tredici anni quando è stato seviziato e ucciso da Luigi Chiatti, dopo una partita a carte nella sua villetta di Casale, piccolo paese di montagna a pochi chilometri da Foligno. Dieci mesi prima, nelle campagne folignati, aveva rapito, violentato e ucciso – facendola franca – Simone Allegretti, di quattro anni. Ventidue anni dopo l’ultimo orribile omicidio, Chiatti sarà fuori dal carcere. Uscirà probabilmente il 3 settembre prossimo e sarà rinchiuso in una casa di cura, perché ritenuto ancora “socialmente pericoloso”. Poi i giudici dovranno decidere quale sarà la sua sorte.

A Foligno, ogni volta che spunta fuori la storia del “mostro”, come lo stesso Chiatti si definì, le persone si irrigidiscono, cambiano espressione, non ne vogliono parlare, provano un senso di malessere. La città non ha mai superato quella tragedia orribile, una sorta di marchio indelebile che continua a far male e far arrabbiare, tanto che per strada c’è ancora chi vorrebbe incontrare Luigi Chiatti per fargliela pagare. Non la pensa esattamente così Luciano Paolucci, papà di Lorenzo, che in questi ventidue anni si è battuto per assicurare giustizia a suo figlio, ma anche per promuovere maggiore attenzione verso i diritti dell’infanzia e i minori vittime di abusi, arrivando a perdonare l’assassino del suo bambino.

“Perdono Luigi Chiatti – ha detto tempo fa Luciano Paolucci a Umbria Domani – perché in lui vedo un fanciullo abusato e buttato via sin dalla nascita. Lo perdono perché conosco la sua triste storia di bambino abbandonato in un istituto, violentato e maltrattato, fino ad essere adottato da una famiglia inadeguata, che ha aggravato il suo malessere, sfociato poi nelle mostruosità che ha compiuto su mio figlio e su Simone. Di certo, questo non lo giustifica: sono io il primo a dire che deve restare rinchiuso a pagare i delitti che ha commesso. Prima o poi però uscirà, perché la legge lo consente. Per questo lo voglio incontrare per capire come sta. Ha detto più volte di essere pronto a colpire ancora e gli psichiatri sostengono che è socialmente pericoloso. È malato e va curato. Non deve esserci alcuna possibilità che faccia del male ad altri bambini: non me lo perdonerei mai. Forse un confronto con il padre di una delle vittime può essere utile e io voglio mettermi a disposizione degli esperti che seguono questa storia”.

“Mi rendo conto che sono affermazioni forti e contrarie al senso comune – ha detto ancora Paolucci – ma dopo il dolore e la rabbia ho scoperto la fede e recuperato la ragione. Insieme alla mia famiglia ho passato anni orribili, ho lasciato il lavoro e rischiato di impazzire. Poi, grazie all’aiuto di Lorenzo, il mio angelo, ho capito che dovevo dare un senso a questa tragedia. Ho studiato il problema della pedofilia e ho capito che, per risolverlo, bisogna avere il coraggio di prevenirlo. È importante sensibilizzare le famiglie, gli educatori e le istituzioni, perché non ci siano più bambini violentati e uccisi. Bisogna portare gli psicologi nelle scuole e aprire centri di ascolto per i pedofili”.

L’idea del papà di Lorenzo è nata dalla convinzione che se Luigi Chiatti fosse stato ascoltato e curato, non avrebbe ucciso suo figlio. Quel ragazzo solare e intelligente, che da grande sognava di fare l’ingegnere e d’estate amava trascorrere le vacanze a Casale, dai nonni materni. Un posto tranquillo, in cui tutti si conoscono, dove poter andare a pesca e giocare a carte con gli amici del paese. È così anche il 7 agosto 1993. Lorenzo si reca a casa di Luigi Chiatti, venticinque anni, figlio adottivo di un noto medico folignate e di un’ex maestra, che passava le ferie estive proprio a Casale, nella villetta di famiglia. Due ore dopo, il tredicenne non si trova più. Il suo corpo martoriato viene trovato a pochi passi dall’abitazione del geometra, che viene fermato e confessa: «Era più bravo di me a carte ed era capace di essere amico di tutti, mi piaceva, ma ero invidioso e l’ho ucciso».

L’omicidio avviene in casa: Chiatti colpisce il ragazzino con un forchettone da cucina e poi getta il cadavere in una scarpata nei pressi dell’abitazione. Il giorno dopo, si accusa anche del delitto di Simone Allegretti, trovato morto vicino Casale, nell’ottobre del 1992, e ammette di essere il “mostro di Foligno”. La confessione di Luigi Chiatti è convalidata da importanti indizi. Il 28 giugno del 1994, viene rinviato a giudizio. Durante il processo, davanti alla Corte d’Assise di Perugia, presenti i genitori delle vittime, racconta lucidamente i particolari dei due omicidi. Riferisce della sua omosessualità e dell’attrazione per i bambini. Non mostra segni di pentimento, ma chiede di essere aiutato: «Se dovessi uscire dal carcere – ammette – sarei pronto ad uccidere ancora».

Il 28 dicembre del 1994, la Corte d’Assise di Perugia, esclude vizi di mente e condanna il “mostro” a due ergastoli. La sentenza, però, viene presto ribaltata. Il 10 aprile del 1996, la Corte d’Assise d’Appello di Perugia riconosce la seminfermità mentale dell’imputato e riduce la pena a trent’anni. Decisiva la testimonianza di un compagno di brefotrofio di Chiatti, secondo il quale un educatore li avrebbe ripetutamente violentati: ecco perché sarebbe diventato un pedofilo e un assassino. Il 4 marzo del 1997, la Cassazione conferma la sentenza d’appello e aggiunge che, a pena espiata, dovrà subire un ricovero forzato, di almeno tre anni, in una casa di cura. E così sarà, a partire dal prossimo mese di settembre. Poi si vedrà.
Intanto, ieri sera a Casale, dove è stato ucciso Lorenzo, è stata celebrata una messa in suo ricordo, alla quale hanno partecipato parenti, amici e paesani della famiglia Paolucci. È così da ventidue anni.

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