Ancora sul Pd

di Pierluigi Castellani

Sembra che nei giornali non si parli d’altro che del PD. Infatti a parte il pasticcio catalano che sta investendo la Spagna sembra che ci siano occhi ed orecchi solo per le vicende interne del PD, per i presunti contrasti interni dipinti come vere e proprie guerre, tanto da far pensare che il crocevia della cronaca politica di questi tempi passi tutta per ipotetiche fratture tra Gentiloni e Renzi, tra Franceschini ed ancora Renzi e per un presunto mutamento del dna del partito e della sua ragione sociale. Ultimo esempio di questo modo di trattare le vicende interne del PD, che in ogni caso rimane l’unica forza politica con una vera cultura di governo da offrire al paese, è un recente articolo apparso su Repubblica del 28 ottobre u.s. su  un presunto cambiamento antropologico del PD rispetto ad un tradizionale partito di sinistra istituzionale. Tra le cause di questo mutamento secondo l’articolista ci sarebbe la deriva populista che il segretario Renzi avrebbe imposto al partito. Ben inteso tra gli esempi che Ignazi annovera per suffragare questa sua tesi non ci sono alcune riforme, ancora molto discusse in Italia, ma apprezzate da agenzie estere ed anche da Mario Draghi presidente della BCE, ma guardo caso il continuo ricorso al metodo delle primarie che avrebbe snaturato il partito perché  personalizzando la politica  avrebbe consentito di saltare tutti quei momenti di mediazione che dovrebbero esiste tra la politica ed il suo pubblico.

Questa lettura delle vicende del PD e soprattutto l’annotazione, in negativo, del ricorso alle primarie svela il fatto che Ignazi ,ed anche altri, non abbiano ben compreso la natura del PD, che vuole essere un partito nuovo, come lo definì Veltroni al Lingotto dieci anni or sono. Infatti per un partito che vuole essere nuovo la legittimazione di programma politico e di leadership attraverso il metodo delle primarie è assolutamente essenziale perché significa l’apertura al vivo della società di un partito che non vuole essere una forza che si legittima solo attraverso gli iscritti ed i militanti . La proposta e la leadership in questo caso viene offerta, attraverso le primarie, alla società civile ed a quanti vogliono partecipare avendo compreso la lezione che viene dalla trasformazione di una società che ha  adeguato anche le modalità con cui i cittadini intendono vivere la democrazia. Non a caso già in un suo saggio ,dato alle stampe in Francia nel 1997, Bernard Manin aveva parlato di “democrazia del pubblico” come evoluzione della democrazia rappresentativa. I partiti chiusi in se stessi ove la struttura organizzativa rimane prevalentemente  in mano a professionisti della politica è cosa del passato , chiusa nel novecento quando partiti di questo tipo, soprattutto di sinistra, hanno contribuito positivamente all’evoluzione della società ed all’attivazione di un welfare universale per tutti. Ma oggi partiti così sarebbero “ridondanti” come li ha definiti Paolo Mancini in un suo saggio del 2015. Del resto “ la storia ci dice -ha scritto Piero Fassino nel suo recente “PD adesso”- che quando ha dovuto affrontare difficoltà, la sinistra ne è uscita mettendosi in discussione e non avendo paura di un radicale cambiamento di sé”. E’ proprio quello che è avvenuto con la nascita del PD. E su questo e su come, affrontando la crisi più grave dal dopoguerra, il PD con i governi Renzi e Gentiloni ha portato il paese fuori dalla crisi tanto che Standard & Poor’s ha rivalutato il rating dell’Italia come non avveniva da quindici anni, che si dovrebbe esercitare l’analisi di politologi e commentatori . Il resto venga lasciato al chiacchiericcio dei salotti televisivi ed alle sterili esercitazioni di chi vede la realtà sfuggirgli di mano perché cambia ed evolve con maggiore rapidità di quanto si possa immaginare.

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