Difendere la Costituzione, difendere la democrazia

di Pierluigi Castellani

C’è un aspetto caratterizzante le vicende che hanno portato alla costituzione del nuovo governo, che non ha destato molto interesse tra i commentatori e i politologi, che si sono occupati delle ultime questioni italiane. Parlo del modo in cui Salvini e Di Maio hanno tentato di forzare la mano al Presidente Mattarella con quella specie di ultimatum, che si riassumeva nello slogan “ o Savona o il voto”. Infatti sono stati tutti attenti alla volontà espressa dai due partiti contraenti il patto di governo, perché supportata dal voto popolare, e per nulla alle prerogative del Capo dello Stato, che secondo l’art. 92 della Costituzione “nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”.

E’ questa la classica formula delle democrazie liberaldemocratiche di stampo occidentale, che tiene conto della necessità, che nell’ atto importante della formazione di un governo si tenga conto della volontà popolare espressa dal consenso elettorale e  da una figura di garanzia come quella del Presidente della Repubblica. Una democrazia è tale se a ciò che potrebbe essere la “tirannia della maggioranza” (Tocqueville) fa da contrappeso la garanzia di chi, come il Capo dello Stato, rappresenta tutta la nazione e non già soltanto la maggioranza. Ed è ben strano che questo aspetto,  essenziale in una democrazia rappresentativa come la nostra, non sia stato ben evidenziato nel confronto politico, ove si sono lette anche cose aberranti come la richiesta di impeachment del Presidente Mattarella. A difesa del Capo dello Stato e quindi della costituzione non si sono levate le consuete voci delle nostre vestali, che invece si sono ben sentite, anzi spesso sono state acclamate dai più, quando si sono schierate per il no nel referendum costituzionale del dicembre 2016. Anzi ci sono stati costituzionalisti, e tra questi mi spiace notare anche Valerio Onida, che hanno sostanzialmente negato il diritto di Mattarella di opporsi alla nomina di un ministro in forza di una lettura meramente formalistica del testo costituzionale, che non teneva conto di quei bilanciamenti tra poteri, che la nostra carta fondamentale ha invece previsto. Guarda caso questi costituzionalisti, molto attivi  per il no nel referendum costituzionale del 2016, sono anche coloro che generalmente fanno da sponda a quella intellettualità di sinistra molto critica nei confronti del PD. Ora credo che la questione è invece fondamentale perché la preponderanza di partiti con leadership carismatiche, il continuo richiamo di quest’ultime alla cosiddetta volontà popolare senza alcuna intermediazione, la presenza nel nuovo governo di un ministro con la delega alla “democrazia diretta” senza altra specificazione, la prevalenza della piazza, anche quella virtuale del web, per la registrazione della volontà popolare, l’assumere continuamente atteggiamenti antisistema ed anticasta nei confronti di ogni tipo di élite dirigente salvo poi ricorrervi ampiamente per chiudere la squadra ministeriale, fanno presagire una lenta trasformazione della nostra democrazia da rappresentativa e parlamentare in una democrazia di tipo plebiscitario, che è l’anticamera di ogni autoritarismo. La questione dopo tutto è abbastanza semplice. Se si vuole davvero trasformare la nostra democrazia, così come l’abbiamo vissuta fino ad ora, lo si deve dire chiaramente e presentare un progetto di riforma costituzionale per poi, questo sì, sottoporlo oltre che al parlamento anche al voto popolare.

Poi davvero sarà il popolo ad esprimere la propria opinione e vediamo se davvero chi dice ora di interpretarlo lo fa correttamente o invece  vuole solo manipolarlo. Abbiamo già vissuto una stagione in cui c’era qualcuno che, investito dal consenso popolare, si riteneva già assolto da questa giuria popolare ed ha intessuto una lunga battaglia contro la magistratura, che invece lo inquisiva. Il continuo richiamo al popolo non può essere un lavacro per qualunque malefatta, né il consenso maggioritario assicura di per sé la stabilità di una democrazia, né tanto più la maggioranza ha sempre ragione, perché altrimenti dovremmo dire che è stata giusta la condanna di Socrate o la salita al Calvario del Salvatore quando la folla di fronte a Pilato ha preferito la liberazione di Barabba a quella di Cristo. Basterebbe rileggersi due aurei libretti per meditare sui pericoli della democrazia. Il primo del 1995 di Gustavo Zagrebelsky, che stranamente è stato molto silenzioso in questo frangente, intitolato “Il crucifige e la democrazia” e l’altro ,più recente del 2012, del compianto Tzvetan Todorov, “  I nemici intimi della democrazia”, in cui si evidenzia come nemico della democrazia sia proprio la sua “dismisura”. Ma avranno tempo di leggere i nuovi governanti?

 

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