Il G7 di Taormina

Il G7 di Taormina, che tanto ha impegnato il governo italiano e il Presidente Gentiloni,  ha rivelato a tutto il mondo i profondi cambiamenti geopolitici, che debbono registrarsi con l’elezione alla presidenza degli Usa di Donald Trump. Niente è oramai più certo perché la volubilità della politica americana sta gettando ulteriori incertezze nel quadro confuso della politica internazionale. Solo sul problema della lotta al terrorismo si è fatto qualche passo avanti con l’impegno assunto di una più intensa collaborazione dei servizi di intelligence e delle forze di polizia. Per il resto la dichiarazione finale rinvia ad ulteriori riflessioni o rimane ambigua come sul problema dei migranti ove si fa esplicito riferimento alla sovranità di ogni stato nazionale.

Sul clima poi Trump si è solo impegnato a qualche riflessione, ma sapendo come sta già smontando la politica di Obama, tutto fa pensare che l’accordo di Parigi rimane solo un pallido ricordo. La verità è che la riunione dei sette paesi più industrializzati ( ma dove sono la Cina, l’India, la Russia ?) si è ridotto oramai ad un consueto rituale per offrire lavoro ai tanti media accreditati, ma sostanzialmente nel più assoluto disinteresse delle popolazioni interessate. Si dovrà pensare a qualche altra cosa, un organismo più rappresentativo delle economie del mondo ,magari all’interno dell’ ONU, quindi con maggiore legittimità e rappresentatività,perchè la formula del G7, da cui come si ricorderà è stata esclusa la Russia di Putin dopo l’annessione della Crimea e la guerra interna all’Ucraina, sembra oramai superata. Un G7 ,che poi è stato soprattutto un sei contro uno, è stato messo in discussione proprio dalla nuova politica americana, che ha destabilizzato i tradizionali assetti della politica internazionale. Non che Trump abbia sempre torto, perché la sua polemica nei confronti della Germania per il suo eccessivo surplus commerciale ricorda quello di buona parte dei paesi europei nei confronti del paese di Angela Merkel, ma se il dollaro è sopravvalutato ed i prodotti europei piacciono al mercato americano non è colpa né della Merkel né dell’Europa. Forse Trump deve fare una riflessione profonda se l’America non è più la forza trainante del mondo, come lo fu all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Viene oramai messa in discussione quella che appariva una volta come la superiorità morale degli americani rispetto agli altri popoli. Forse la politica americana in alcuni paesi del sud America e le disastrose conseguenze delle guerre della famiglia Bush hanno appannato l’idea di un America campione di democrazia e di progresso.

C’è insomma da ripensare tutta la politica internazionale, sempre più policentrica e sempre più bisognosa di una rafforzamento dell’Europa. In questo quadro  di incertezze infatti c’è sempre  più bisogno di un’Europa forte, che parli con una voce sola e che sia credibile interlocutrice tra il continente americano ed il mondo Asiatico. Il futuro del nostro pianeta dipende molto dalla credibilità ed unità di un’Europa che sappia dialogare anche con il sud del mondo come  ha cercato di fare il presidente Gentiloni invitando a Taormina anche i rappresentanti dei paesi africani, che in qualche misura si affacciano sul Mediterraneo. Forse Taormina non è stato una mezzo insuccesso, come può sembrare, se questo incontro è servito a far comprendere alla maggioranza dei paesi interessati che forse il mondo può essere guidato ,anche a dispetto di un recalcitrante Trump, se si hanno ben precisi gli obbiettivi da perseguire come è avvenuto a Parigi con l’accordo sul clima. E’ vero che allora alla guida degli Usa c’era Obama e non Trump, ma non si può commettere l’errore di pensare che l’America che conosciamo e amiamo sia solo quella di Trump.

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