Dis…corsivo. La “grande Umbria”

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Quando si parla di Umbria in termini estremi e radicali, non riesco a nascondere a me stesso l’immagine della macro regione ottocentesca con cui essa si è presentata sullo scenario dell’Italia unita.
I termini sono stati radicalizzati, nel presente, dal presidente della Toscana – che vede bene l’unione di Toscana, Umbria e Marche – e a me è subito tornata in mente la Provincia dell’Umbria, un oltraggio per la classe risorgimentale umbra, il primo vero tentativo, per quanto pilotato e imposto, di dare una fisionomia all’Umbria moderna.
L’esperimento è durato poco più di un sessantennio, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, poi fu fatto saltare in aria dal fascismo.
Eppure, l’Umbria, con tutto il Reatino, non è, specie oggi, quella bestemmia amministrativa che fece infuriare i patrioti umbri tra il 1860 e il 1861.
Bisognerebbe, a mio avviso, proprio ripartire da lì, da quella “grande Umbria” e verificare la possibilità della sua attualizzazione prima ancora di prendere ogni decisione orientata verso l’inevitabile supremazia toscana – come predica Rossi – o romana – come altri pensano e studiano di proporre.
Questo non lo dico per aumentare il potere contrattuale dell’Umbria, ma per fondare su un’esperienza più ampia – che era nelle cose, nella natura e nelle persone nonostante la burocrazia sabauda – la nozione che ci siamo fatti della regione in età contemporanea.
All’Umbria di oggi, per come era nata, manca una parte di territorio – il Reatino – che è assolutamente nelle sue corde. Cosa ne pensano a Rieti? Chi si è mai curato, negli ultimi tragici anni delle due Province umbre, di approfondire presupposti o, eventualmente, contrarietà del legame da ripristinare con quella a noi molto congenere parte del Lazio che è (stata) la Provincia di Rieti?
Nessuno. Non sarebbe il caso di farlo adesso, prima che la Toscana decida alleanze e strategie per i suoi vicini di casa e basi questa prospettiva – vedi la lettera del Presidente Rossi – su presupposti spesso fatui come quelli che si sentirono dire quando ci si voleva far credere sulla “opportunità progressiva e progressista” del rapporto tra Perugia e Assisi in vista della Capitale del 2019? Ricordate i Soloni di allora: “Le due città si sono combattute per secoli, adesso fanno la pace”?
Non credo che ci sarà il tempo e la voglia, da parte della politica, per riprendere il discorso dell’Italia di mezzo a partire dalla liceità della “grande Umbria”: già il solo sentire il termine “Provincia dell’Umbria” fa storcere il naso.
La cultura, però – e chiamo in ballo la geografia, l’antropologia, l’economia, il turismo -, faccia presto a mobilitarsi, non si curi dei veti, non abbia paura di sembrare arretrata. Punti tutto, invece, su questa misura grande che l’impronta dell’Umbria ha nel Lazio, cerchi di capire che cosa ne pensa la gente, lo faccia col giornalismo d’inchiesta, porti a termine il lavoro con un dossier da consegnare alla politica. L’Umbria di domani – benché ce ne siamo dimenticati – porta in dote all’Italia di mezzo un patrimonio più grande del rassicurante, ma un po’ stanco, “cuore verde”.

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