Dis…corsivo. Spegniamo la telecamera

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Oggi andiamo lontano dall’Umbria, negli Stati Uniti d’America. È impossibile non andarci, col pensiero, dopo aver visto, in diretta, come una persona viene uccisa e una seconda segue lo stesso destino. La scena del duplice omicidio è, in parte non secondaria, quella che ha voluto darci lo stesso esecutore: una “soggettiva” cruda e raccapricciante, una sequenza di passi, di colpi, di spari, di grida di dolore, di sangue e disperazione, di determinazione e di incredulità che sembra interminabile e che pure, però, una sua conclusione ce l’ha, silenziosa come l’interruzione del video e del quadro di morte che quel video raffigura.

È accaduto tutto, lo sappiamo, in Virginia. Inutile ripeterlo, inutile ripercorrere la notizia di un uomo che riteneva di dover saldare un conto personale con due suoi colleghi del mondo dei media, lui licenziato, loro al lavoro, immersi nella routine delle interviste che, ogni giorno, a migliaia, ci passano davanti agli occhi ogni volta che accendiamo il televisore.

Il fatto è agghiacciante, la notizia drammatica. Il problema è che, stavolta, la comunicazione non racconta della morte di qualcun altro, com’è suo mestiere, ma registra, audio e video, l’omicidio di due suoi operatori, montando prima le immagini, girate dall’operatore, della giornalista e della persona intervistata, poi le sequenze dell’irruzione dell’omicida sulla scena, girate con una telecamera che egli aveva con sé.

E tutto è vero, come se, invece di riprendere immagini di un duplice omicidio con inseguimento e colpo di grazia, l’operatore – il secondo, quello della “soggettiva”, l’omicida – fosse andato dietro a documentare, come sempre, la tranquilla vita di una baia sullo sfondo di alcune considerazioni di natura economica, culturale e sociale relative a quell’ambiente.

Dall’Isis in poi siamo preparati a ricevere immagini sconvolgenti di dispensatori di morte, ma una scena dell’esecuzione preparata per una giornalista e per il suo cameraman forse è ancora più tremenda. Se poi a girarla è un altro operatore, nella duplice veste di “tecnico” della camera e di esecutore del delitto, ci si sente morire nell’ultimo palpito di vita di quella giovane giornalista e anche le tante telecamere, dalle quali siamo quotidianamente circondati, le nostre e le altrui, le amatoriali e le professionali, viene voglia di spegnerle, almeno un attimo, in segno di lutto per quel culto dell’immagine che oggi, in qualche modo non temporaneo, si è spezzato.

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