L’autoironia

Nel corso di una delle puntate della trasmissione “Otto e mezzo” su La7 della scorsa settimana, il filosofo Massimo Cacciari ed il giornalista Beppe Severgnini, traendo spunto dalla discussione su questioni conseguenti alla crisi di taluni istituti bancari, analizzando il comportamento attuale della maggior parte dei politici del nostro Paese, hanno espresso l’opportunità-esigenza di una loro pratica dell’autoironia. Non posso che condividere questa esigenza su cui ho avuto a suo tempo occasione di riflettere commentando le parole di Papa Bergoglio con cui aveva denunciato “il peccato della corruzione”, nel quale cadono “tante persone che hanno potere, potere materiale o potere politico”. Il potere, quindi, anche quello politico, può essere fonte di corruzione, di devianza di vario genere. Da cui pertanto occorre guardarsi. Ma come? Fronteggiandolo, sottolineavo, a partire dalle parole di Qohelet secondo cui tutto “è vanità, un inseguire il vento”. E questo andrebbe ricordato a chi si mette in politica, ancora oggi, come a chiunque nella società eserciti un potere. Non va dimenticato che il potere è “diabolico”, per il fatto che è stato una delle tentazioni che il diavolo fece a Gesù.

Con il potere l’uomo tende, per sua natura, ad affermarsi, ad aumentarsi, ad estendersi, a dilatarsi. E così diventa capace di passare sopra a tutto e a tutti.

Non si può con facilità assumere il potere, l’esercizio del potere pensando di fare un “servizio”. Le parole sono belle, ma la prassi può negarlo.

In generale la grande e nobile parola, bella , del “servizio”, fa dimenticare che il potere, comunque sia il potere, è sempre un’apparenza che ha a che fare con il giudizio evangelico : “I potenti di questo mondo vi opprimono e si fanno chiamare benefattori”.

E allora quale possibilità di fronteggiare quest’affermazione di potere? La possibilità è di essere dotati di autoironia, come giustamente ricordato da Cacciari e Severgnini. E ciò significa avere una grande capacità di giudizio e di accogliersi nella propria fragilità. Sapere che tutto ciò che si fa, mentre può avere delle motivazioni grandi, leali, sincere, di fatto è come un bumerang che si risolve quasi sempre contro se stessi. Se non c’è questo, c’è inganno.

Il politico in modo particolare dovrebbe avere questa capacità di ridere innanzitutto di se stesso. Capacità che lo porterà a valutare l’esistenza sotto forma di vanità.

Bisogna che insieme ai progetti politici si facciano costantemente esami di coscienza. Per cercare di capire chi siamo e verso dove stiamo puntando.

E quando le vicende personali o sociali cambiano direzione e ci si accorge che il passo che dev’essere fatto è, con avvertenza e con coscienza, contrario ai principi in cui si crede, allora sarebbe meglio mollare, anche tutta la politica.

Alvaro Bucci

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