Gubbio, celebrazioni di Sant’Ubaldo. Ceccobelli: “Sarà la mia ultima celebrazione della Festa”

GUBBIO – Dopo l’emozionante Festa dei Ceri di ieri, oggi Gubbio celebra il patrono Sant’Ubaldo, nel giorno della sua memoria liturgica. Tanti i fedeli che in queste ore stanno salendo alla Basilica sulla cima del monte Ingino. Alle ore 11,15 di stamattina, la statua di Sant’Ubaldo è stata trasferita in corteo dalla Chiesetta di San Giovanni Decollato (detta dei Neri) fino alla Chiesa di San Domenico, dove è stato celebrato il solenne pontificale. A presiederlo, insieme a molti dei sacerdoti del clero diocesano, è stato il vescovo di Gubbio, mons. Mario Ceccobelli. Questo di seguito è il testo integrale della sua omelia.

santubaldo2Carissimi, sindaci (Gubbio, Umbertide, Cantiano, Scheggia, Costacciaro), autorità civili e militari, devoti del Patrono che venite da vari Paesi e in particolare da Thann e da Jesup, siate i benvenuti alla nostra festa. Il saluto cordialissimo è rivolto non soltanto a voi qui presenti, ma anche a coloro che ci seguono attraverso la nostra emittente televisiva Telegubbio, che fin da ieri mostra in diretta il tripudio della festa e che questa mattina, sempre in diretta, mette in onda il solenne pontificale.  Questi sono i giorni in cui il popolo eugubino si stringe intorno a Ubaldo, cittadino e vescovo di questa antichissima città, che prima, durante la sua vita, e ora dal cielo protegge il suo popolo.

Sicuramente per me questa è l’ultima celebrazione della festa di Sant’Ubaldo: non mi è dunque possibile nascondere l’emozione che provo ed anche qualche rimpianto. Negli anni precedenti ho sempre invitato vescovi e cardinali per rendere la festa più solenne e per far conoscere il nostro Patrono a personaggi che senza il mio invito non avrebbero potuto mai scoprire la dimensione spirituale di questo grande protagonista della storia eugubina.

 Molte volte durante questi dodici anni di episcopato mi sono chiesto che cosa avrebbe detto il vescovo Ubaldo agli eugubini in certe situazioni difficili o nelle omelie.

Anche Lui è stato ben consapevole che il suo compito primario era quello di annunciare il Vangelo ai figli della Chiesa. Anche Lui ha richiamato i fedeli a vivere gli insegnamenti di Gesù e a mettere in pratica soprattutto il comandamento dell’amore. Per questo il suo magistero era sempre preceduto dall’esempio del suo operare. Per me, e per ogni presbitero chiamato ad annunciare il Vangelo, l’esempio di Ubaldo costituisce un forte appello alla coerenza della vita: anche per noi vale la regola che la testimonianza venga sempre prima delle parole.

 Emblematico è il comportamento del santo Vescovo con l’operaio che lo aveva insultato e gettato nella fossa della calce. Don Angelo Fanucci sostiene che non di calce si trattasse ma di una fogna vera e propria, e comunque Ubaldo si oppose alla punizione invocata dai cittadini, anzi perdonò l’autore del gesto offensivo con un bacio.

 Oggi la società è molto cambiata, non soltanto a causa di una morale lontana dagli insegnamenti del Vangelo, ma anche per le destabilizzazioni dovute a correnti di pensiero nate dalle nuove filosofie, che esaltando l’individualismo e il razionalismo incondizionato, contaminano la mente dell’uomo moderno rendendolo indifferente e diffidente dinanzi alla fede.

 La prima lettura, tratta dal libro del Siracide, illustra la figura del venerato sommo sacerdote Simeone (220-295 a.C.), che durante la sua vita non solo consolidò il tempio, ma difese la città dagli assalti dei nemici. Anche il nostro Ubaldo, come Simeone, difese Gubbio dagli avversari e ricostruì la città dopo l’incendio devastante. Una difesa materiale, questa, che adombra la difesa spirituale dell’anima dei fedeli dalle insidie del male.

 Il Vangelo di Luca, appena proclamato, narra l’esperienza dei discepoli, che mandati due a due a preparare il passaggio di Gesù nei villaggi della Palestina, avevano scacciato i demoni nel suo nome. Gesù aveva dato loro il potere contro lo Spirito del male non per gloriarsene, ma per gioire nella consapevolezza che i loro nomi erano scritti nel cielo, dove avrebbero condiviso l’esultanza per la vittoria sul male, sul peccato e sulla morte.

 Le parole contenute nella seconda lettura, tratta dalla Lettera di san Paolo agli abitanti di Efeso, sembrano aver orientato decisamente la vita di sant’Ubaldo:

 “Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi (Ef 4,30-5,2)”.

 È da questa esortazione che nasce l’Ubaldo pacificatore verso tutti e in ogni circostanza. Anche Lui rinato dal fonte battesimale, vive, come figlio di Dio, la nuova altissima e vincolante condizione che determina il suo impegno per la pace e la piena riconciliazione: innanzitutto con se stesso, poi con ogni fratello che incontra nella vita, compreso l’operaio irriverente e il temibile, potente Barbarossa.

 Carissimi, questo nostro Ubaldo ci parla ancora e ripete anche per noi le stesse parole che guidarono il suo magistero: pace e riconciliazione a tutti i livelli, nella propria coscienza, nella famiglia, nelle istituzioni, nella città.

 Una città, ma anche una diocesi, per essere fedele alla propria vocazione di luogo di convivenza civile e quindi a misura umana, deve vivere come una grande famiglia. E nella famiglia l’attenzione maggiore viene riservata ai bambini, agli anziani e ai malati. Anche la città e la chiesa devono assumere le dinamiche della famiglia e prendersi cura degli ultimi, perché proprio queste prerogative dimostrano il grado di civiltà di un popolo.

In particolare qui, nella città di Gubbio, per seguire l’esempio sublime del vescovo Ubaldo che aveva decretato “Nullo oratorio sine ospitio”, non si edifichi un luogo di preghiera se non si eriga accanto anche un luogo di accoglienza per i poveri e per i pellegrini. Gubbio, questa antica e splendida città scelta da Francesco di Assisi per iniziare la sua nuova vita di figlio di Dio mettendosi alla scuola del vescovo Wilano e dei lebbrosi, ritrovi le sue radici sante e viva con generosità e coraggio la sua vocazione.

 Vorrei allora lasciare sia alla città che alla diocesi quasi un promemoria, studiato in preghiera in compagnia di Ubaldo. Riconciliazione e pace siano il vostro massimo impegno a tutti i livelli: tra gli uomini della politica, tra le istituzioni laiche e religiose, tra le classi sociali, le professioni, le associazioni, per il bene dei cittadini.

 Gubbio, la tua prima preoccupazione si concentri verso gli ultimi nella scala sociale: i poveri di beni materiali ma anche i poveri di beni spirituali, i resi poveri dalla società con le sue leggi troppo spesso intente a difendere e favorire i ricchi e i potenti.

La tua sollecitudine si rivolga ai profughi e ai rifugiati, che rischiando la vita per attraversare il mare, hanno lasciato la loro patria resa invivibile dalle guerre quasi sempre fomentate da chi ricava il suo interesse dal commercio delle armi. La tua attenzione sia riservata agli emarginati, agli schiavi e prigionieri delle droghe, e non solo quelle che usano i giovani e i meno giovani per sprofondare nel mondo dei sogni, ma anche quelle derivanti dal giuoco e dalle patologie moderne dovute a una società selettiva che crea scarti e rifiuti.

Coraggio Gubbio, dà gloria ai tuoi padri e diventa modello di accoglienza, di riconciliazione e di pace.

 Questo è il mio augurio, che accompagno con la preghiera oggi, come farò per sempre fino al termine della mia vita.

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