L’evoluzione delle mafie nel comparto agro-alimentare

PERUGIA – Nel Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e ambientali, in un Aula Magna gremita di persone, si è tenuto un convegno sullo stato dell’arte delle mafie nel settore agro-alimentare. Numerosi gli esperti e gli accademici che hanno preso parte all’iniziativa organizzata con il sostegno dell’Associazione Libera che ha coinvolto tre dipartimenti dell’Università di Perugia. I lavori si sono aperti con Walter Cardinali, referente umbro di Libera che da sempre porta avanti attività di promozione della cultura della legalità con iniziative sia a livello scolastico che universitario. “Tra l’altro sono lieto di annunciare che il Parlamento ha approvato una legge che il 21 marzo istituisce la giornata in ricordo delle vittime di mafia”. Il Prefetto di Perugia Raffaele Cannizzaro invece parla della diffusione di una nuova sensibilità secondo cui si è sempre più consapevoli che le mafie siano presenti non solo nelle zone in cui sono nate, ma anche in regioni in cui finora il rischio mafia è stata marginale. Nel Comune di Pietralunga per esempio è stata confiscata un’azienda di cento ettari a testimonianza che anche la piccola imprenditoria locale non è esente da infiltrazioni. Nel 2016 tre imprese commerciali tra bar, ristoranti e attività simili sono state interdette per mafia e ce ne sono altre tre sotto osservazione. E il problema delle mafie è che proliferano anche perché non sono riconoscibili. “Per questo – afferma Livia Mercati, vice direttore del Dipartimento di Giurisprudenza – è importante ed efficiente promuovere una sinergia tra istituzioni e associazioni espressioni della società civile, attraverso l’inizio di un percorso di collaborazione da cui possono nascere iniziative di ricerca, studio e formazione”. Si potrebbe parlare proprio di una filiera sociale che unisce le istituzioni con esponenti della società. Gaetano Martino del Dipartimento di Scienze agrarie analizza la criminalità nel sistema agro-alimentare, parlando dell’inquinamento del processo economico ad opera delle mafie che attraverso regole mafiose, riescono a controllare la manodopera, mettendo costi di acquisizione molto bassi e impiegando dei veri e propri schiavi a carattere stagionale che pagano poco e lavorano molte ore. Ed inevitabilmente sbaragliano la concorrenza delle aziende sane. Una volta però che vengono scoperte attività criminali, si procede con il sequestro e la confisca dei beni. Secondo quanto afferma Enrico Carloni del Dipartimento di Scienze politiche, “la gestione dei beni confiscati ha un impatto sociale importante perché poi vengono gestiti in modo legale dallo Stato che in caso si tratti di aziende è tenuto a garantire il livello occupazionale e gestionale registrato prima della confisca. Lo Stato quindi ricopre un ruolo di rilievo e ha una responsabilità doppia, anche in chiave simbolica”. Esiste un ente preposto a tale fine che si chiama Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati che supporta l’autorità giudiziaria prima della confisca e poi si occupa della gestione del bene perché possa diventare immediatamente produttivo. Non sempre però le aziende che finora hanno operato secondo regole di criminalità, riescono a mantenere livelli di produttività e redditività alti, una volta che vengono gestite dallo Stato, a causa di tempi burocratici lunghi e spesso così molte aziende vengono chiuse, apportando un doppio insuccesso dello Stato sia su un piano simbolico che reale. Gli fa eco la collega Paola De Salvo che parlando del riutilizzo dei beni confiscati alla mafie, analizza il passaggio da un modello di sviluppo criminale a un nuovo modello di governance partecipata, capace di trasformare la ricchezza mafiosa in opportunità di sviluppo locale. Un esempio ne è l’imprenditoria sociale che fa uso di manodopera a vario tipo svantaggiata, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita e promuovere lo sviluppo locale. Chiude i lavori il dottor Giancarlo Caselli che esordisce con una frase forte: “Siamo un Paese di mafia ma rappresentiamo anche un modello di anti-mafia capace di riutilizzare i beni illegittimi confiscati dallo Stato. Ogni giorni nascono nuove vocazioni della mafia verso gli affari illeciti a bassa intensità espositiva, ma che portano importanti guadagni”. Alti guadagni quindi e rischi ridotti anche nella filiera agroalimentare, con una infiltrazione mafiosa che va dalla terra al tavolo, passando per i trasporti, la ristorazione,  fino alla commercializzazione in cui le mafie impongono i propri prodotti. Del resto la ricchezza che accumulano con traffici illeciti, in qualche modo devono pur riciclarla, e l’attività del riciclaggio serve proprio a ripulire i soldi sporchi, divenendo l’anello ultimo della catena di montaggio della mafia.

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