Norcia e il Carnevale: c’era una volta la caccia alla volpe

di Rita Chiaverini

Fino a martedì 17 febbraio “maratona di Carnevale” a Norcia con maschere, musiche, danze e coriandoli. Una vera e propria ‘invasione’ del centro storico, ovviamente sotto il segno dell’allegria, della fantasia e del divertimento. L’occasione è ghiotta per ripercorrere la storia di Norcia anche attraverso il Carnevale, il periodo di tripudio e di feste precedente la Quaresima che affonda le sue radici negli antichi Saturnali.

Il modo di celebrare il carnevale a Norcia, tuttavia, è cambiato nel corso degli anni come, d’altra parte, è successo a molte tradizioni.

“A li tiempi de ‘nnota”, come ricorda Marcello Marini in una sua interessante pubblicazione, intere famiglie partecipavano al veglionissimo che si svolgeva al teatro civico. I festeggiamenti iniziavano alle ore otto di sera fino al mattino successivo. A mezzanotte si faceva una pausa di un’ora per la cena. Il vino “scorreva a fiaschi” mentre suonava l’orchestrina locale dei Diavoli Rossi e tra i palchetti e corridoi nascevano brevi amori carnevaleschi. Si eleggeva la “Reginetta” della serata che spesso, non era la più bella, ma la più in mostra. L’ultimo giorno di Carnevale, poi, veniva fatto un solenne funerale lungo le vie della cittadina per rappresentare la fine del periodo delle “trasgressioni”. Nella cassa funebre “il cadavere del Carnevale” era rappresentato da una persona alla quale veniva somministrato del vino tramite un tubo di gomma con un imbuto all’estremità.

C’era in quest’ultimo rito la personificazione propria del Carnevale e un gesto scaramantico per allontanare il male o i peccati accumulatisi nel corso del ciclo che si concludeva.

Nel XVII secolo, quando ancora la città non aveva un vero e proprio teatro ed era stato adibito a ciò solo un piccolo spazio nel palazzo consolare, il carnevale cittadino era ancora legato al rito della caccia che, per l’occasione, si svolgeva niente di meno che all’interno della città coinvolgendo i tre terzieri, cioè i quartieri di San Giacomo, Campolazzo e Patino in cui era allora suddivisa. Negli ultimi tre giorni, i tre quartieri festeggiavano contemporaneamente, ma in modo separato il carnevale, visto che era proibito passare da un quartiere all’altro e questo per garantire una maggiore sicurezza e per far controllare meglio l’eccitazione popolare dalle autorità superiori.

Ritornando alla caccia, che da sempre aveva rappresentatolo studio induttivo all’audaciaed era considerata “utile al corpo, dilettevole all’anima e dispositivo alla gagliardezza come simbolo di guerra, apprendiamo da fonti manoscritte conservate nell’archivio storico comunale che nei giorni precedenti il carnevale i giovani nursini, incuranti dei freddi, delle nevi e delle fatiche nonché del pericolo di imbattersi negli “orsi, lupi e cinghiali”, con coraggio andavano alla ricerca delle “viziose volpi e timidette lepri” e di altri animali che dovevano catturare vive.

Gli uomini di ogni quartiere, dopo averne catturati moltissimi, tornavano in città e collocavano un “fronzuto e bell’albore di busso o ginepro” nella piazza del proprio rione ponendo poi intorno ad esso un recinto fatto con le reti da caccia dove deponevano le prede per farle ammirare. Seguiva la sfilata dei cacciatori che, procedendo a due a due, tenevano gli animali catturati chiusi in un sacco sopra le spalle e talvolta “anco palese in mano, con il bastone e cane e nella maggior gara menavano (= conducevano) con loro anche le consorti”.

Al termine della sfilata, nella piazza principale, “presente tutto il magistrato con altri personaggi che vi concorrevano dalle città e terre vicine, fatte accomodare le consorti dei cacciatori “onorevolmente in un luogo”, lasciate libere le prede, si dava inizio al gioco della caccia con i cani e le armi.

Grande era l’entusiasmo dei presenti che al termine della battuta proseguivano i festeggiamenti danzando e cantando in strada. Tutto ciò veniva ripetuto anche nei due giorni seguenti spesso tra le grida dei ragazzi che “per difesa del loro quartiere venivano ben spesso in questione”.

Ma il carnevale, momento di euforia, spesso sfociava in scandali ed eccessi ben più gravi delle liti giovanili tanto che, i Quaranta consiglieri della Pace, per evitare i disordini sempre più frequenti, il 5 aprile 1618 stabilirono che i terzieri, a partire dall’anno successivo, avrebbero dovuto festeggiare la ricorrenza a turno, un anno per ciascuno; inoltre la caccia doveva svolgersi solo in uno dei giorni del carnevale e vi potevano prendere parte solo gli uomini del quartiere di turno ma nessuno di essi poteva portare armi o mascherarsi, e ciò evidentemente per scoraggiare aggressioni da parte di qualche malintenzionato, mentre era lecito ballare, suonare i tamburi o altri strumenti a differenza di quanto accadeva negli altri due terzieri dove non era possibile toccare ne far toccare….nemmeno un tamburo!

Pene severe venivano comminate ai trasgressori: una pena pecuniaria consistente in 100 scudi e tre tratti di corda da “darsili in pubblico”.

Un altro divieto imposto dai Consiglieri della Pace agli abitanti dei terzieri che non festeggiavano fu quello di non andare di notte, tra Natale e carnevale, a cacciare le volpi “per un miglio e mezzo” intorno alle mura di Norcia senza essere accompagnati dagli uomini del rione che aveva diritto ai festeggiamenti.

Per tradizione il carnevale è il momento degli eccessi. Non sappiamo quali furono quelli praticati a Norcia anche se ognuno di noi può lasciare libera la propria immaginazione sapendo che le autorità ecclesiastiche locali nel corso del XVII secolo si appellarono più volte al Buon Governo di Roma per ottenere l’autorizzazione e sussidi ad esporre, negli ultimi giorni della festa, il Santissimo Sacramento per cercare di “deviar il popolo in quelli giorni carnevaleschi dai peccati e tirare alla divotione quel popolo”.

Probabilmente anche a causa di questi divieti e condizionamenti la tradizionale caccia alla volpe e i “divertimenti” connessi persero la naturale spontaneità ed entusiasmo tant’è che il monaco celestino Fortunato Ciucci nel 1653 scrisse nelle sue Istorie : “si seguita l’istesso ordine in Commune di una sol Caccia, ma non con l’istesso fervor di prima ne meno con tante fere e questo per non vivere spensieratamente ma con ozio, fonte e radice di tutti i mali”.

Venuta meno la caccia alla volpe, si consolidò nel XVIII secolo la tradizione di celebrare il carnevale all’interno del teatro, seppure con spettacoli di natura diversa a seconda delle epoche (commedie, spettacoli musicali, balli mascherati, prove ginniche) poiché la città, grazie all’illuminata opera del Prefetto della Montagna Angelo della potente famiglia romana dei Principi Altieri, si arricchì di importanti iniziative culturali e opere pubbliche, tra le quali la realizzazione di un primo vero teatro. Da allora la tradizione di celebrare i veglioni di carnevale all’interno del teatro rimase in voga fino al 1952 anno dell’ incendio e della conseguente distruzione dell’edificio che, solo nel 1996, è tornato a vivere in occasione della XXXII edizione della “Mostra Mercato del tartufo nero pregiato di Norcia e dei prodotti tipici”.

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