Di Maio e il complotto

di Pierluigi Castellani

“Al Colle un testo manipolato. Vado in Procura”. Così Di Maio una volta accortosi che nel testo del decreto fiscale approvato in Consiglio dei Ministri il 15 ottobre scorso è contenuto non solo un condono fiscale ma anche uno scudo fiscale per i capitali detenuti illlegalmente all’estero. Naturalmente pronta è stata la smentita del Quirinale dicendo che alla Presidenza della Repubblica nessun testo del decreto era ancora giunto. Ma oramai siamo abituati al sensazionalismo complottista del vicepremier 5Stelle. Ora è qualche manina all’interno del Ministero dell’Economia che fa aggiungere considerazioni non gradite sul decreto dignità, ora, come in quest’ultimo caso, forse una manina o manona all’interno dello stesso Palazzo Chigi ad alterare il decreto fiscale. Ma poi, visto che nessuno sembra essersi ancora recato in procura, dovrà essere il Presidente Conte a metterci qualche pezza ed a diradare i sospetti sull’altro partner di governo dichiarando che Lega e 5Stelle marciano sulla manovra di comune accordo. Ma la verità è che quando Di Maio, e non solo, si trova in difficoltà, anche nei confronti del suo stesso elettorato allergico ai condoni, ricorre alla consueta arma di distrazione di massa. La colpa è di Bruxelles oppure è del complotto ordito dai poteri forti e dalla indomita burocrazia. Il populismo ha bisogno di alimentarsi con la evocazione di un perenne nemico tanta è la discrasia tra le promesse elettorali, che le forze populiste dispiegano a piene mani e la realtà dei fatti con cui poi, una volta al governo, si debbono confrontare. Questo schema è oramai consueto.

E’ “ la nostalgia di un capro espiatorio su cui scaricare la colpa delle crisi e delle epidemie che accompagneranno la decrescita felice”, così Manlio Graziano su La Lettura, allegato domenicale del Corriere della Sera del 14 ottobre u.s..Molto probabilmente si andrà avanti in questo modo fino alle prossime elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. Infatti c’è qualcuno che pensa che quello è il traguardo che si sono imposti di raggiungere Salvini e Di Maio prima di far cadere consensualmente il governo per andare poi ad elezioni anticipate. Che la prospettiva del governo gialloverde sia di corto respiro si è subito constatato. Tutto è giocato sull’immediato, su ciò che può portare qualche consenso al momento, non c’è una politica di respiro lungo per il paese. Si celebrano dal balcone o in piazza “vittorie”, che non porteranno nulla alla crescita del paese come l’attacco alle cosiddette pensioni d’oro o ai vitalizi della vituperata casta degli ex parlamentari, ma che non avranno alcun riscontro positivo sull’economia italiana, ma che però serviranno a tenere alta l’attenzione sui temi dell’antipolitica di cui il populismo si nutre. Non c’è nessuna voglia di cambiamento nel governo del cosiddetto cambiamento. Anzi c’è un ritorno all’antico, alla prassi dei condoni, alla vecchia minaccia di nazionalizzazioni ed a quel tipo di assistenzialismo, che cerca di rassicurare chi si trova nell’indigenza, ma che non affronta nessuna delle cause che conducono alla povertà come la mancanza di lavoro, la mancanza di servizi sociali idonei ed efficienti e la non adeguatezza dei percorsi formativi e di educazione. “Se le ansie sono il prodotto del mondo che cambia, la soluzione populista – è sempre Graziano che scrive – consiste nel fermare i cambiamenti. Meglio ancora: tornare indietro”. Così è nei confronti dell’Europa; meglio riscoprire il nazionalismo suffragato dal sovranismo degli stati e cancellare questi 70 anni di progresso e di pace che abbiamo vissuto. Meglio ancora evocare complotti quando si è in difficoltà per non dover ammettere ( è questo il caso di Di Maio ?) che si è caduti nell’errore di non leggere bene quanto prima si è scritto con l’alleato nel Consiglio dei Ministri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.