Luca Signorelli ad Orvieto, la prima rappresentazione della Divina Commedia

Quando Leonardo da Vinci, nel 1513, fece una sosta ad Orvieto (consumando un frugale pasto con “cacio pecorino e vino rosso”) per visitare la Cappella Nova o di san Brizio in duomo, scrutò con attenzione e meraviglia l’anatomia dei nudi dipinti da Luca Signorelli.

L’interesse scrupoloso e stupito che il grande genio rinascimentale riservò al lavoro del maestro cortonese non è però che un singolo episodio nella lunga sequela dei tanti visitatori illustri che, nel tempo, si recarono ad Orvieto per ammirare i capolavori dipinti all’interno della cattedrale dal maestro di Cortona e trarne profonde ispirazioni.

 

Anche Michelangelo Buonarroti fece tappa nel duomo prima di iniziare a dipingere la Cappella Sistina. Nel lungo elenco figurano anche Sigmund Freud che, nel suo testo fondamentale per la nascita della psicoanalisi “Psicopatologia della vita quotidiana“, parla espressamente del “Caso Signorelli”, Giorgio de Chirico che intravide nella Cappella Nova, e in particolare nel Finimondo, alcune anticipazioni dell’arte metafisica, Gabriele D’Annunzio che visitò la città insieme all’amante Eleonora Duse e tantissimi altri.

 

Nel volume “Luca Signorelli ed Orvieto. Storia di un legame speciale“, in distribuzione nazionale da martedi 25 maggio per Intermedia Edizioni, l’ingegnere Ettore Della Casa ricostruisce il percorso artistico e biografico di questo straordinario artista, considerato una delle personalità più importanti nella transizione tra Umanesimo maturo e primo Rinascimento.

 

Fu Signorelli che per primo a tradurre in affreschi alcuni canti della Divina Commedia, elogiando il sommo poeta nei suoi insegnamenti eterni conservandone e tramandandone così un ricordo eterno. Il saggio di Ettore Della Casa rappresenta innanzitutto un prezioso vademecum alla Cappella Nova a cui Signorelli viene chiamato a lavorare dai Soprastanti dell’Opera del duomo nel 1499 dopo l’abbandono improvviso di Beato Angelico che si era impegnato ad affrescare tutta la volta. La descrizioni artistica delle

 

 

scene del Giudizio universale, dell’Inferno, della Predica e i fatti dell’Anticristo, del Finimondo, de la Resurrezione della carne, del Paradiso consente di cogliere non solo l’eccezionale dimensione artistica degli affreschi, ma di collocarli nella storia dell’arte attraverso un riferimento agli antecedenti delle singole scene.

 

Anche il complesso contesto teologico viene illustrato con sapienza dall’autore, ma lo stesso Signorelli si avvalse di un dotto “consulente” in campo teologico. Si sarebbe trattato di frate domenicano del convento di Orvieto a cui l’artista cortonese volle per questo manifestare la propria riconoscenze ritraendolo accanto a sè nella Predicazione e che, per lungo tempo, si è invece ritenuto essere il ritratto di Beato Angelico.

 

Della Casa ricostruisce anche la dimensione privata di Signorelli, uomo di buon carattere e discreto, ma anche il  periodo storico e la stessa storia della cattedrale, soffermandosi su alcuni passaggi che ne mutarono il volto come, ad esempio, la trasformazione manieristica successiva al Concilio di Trento quando il vescovo Giacomo Sannesio, imbevuto di puritanesimo tridentino, ipotizzò di coprire le nudità degli affreschi del Signorelli come era avvenuto con il “Braghettone” nella Cappella Sistina e cercò di scongiurare  la collocazione in duomo della statua della Vergine, scolpita da Francesco Mochi, in quanto ritenuta “audace, profana, sconveniente e scandalosa”.  Fortunatamente riuscirono a fargli cambiare idea le parole rassicuranti di Cesare Nebbia e Ippolito Scalza.