Il Pd e i mali della sinistra

di Pierluigi Castellani

Dopo la direzione del PD si torna a parlare di scissione. La sindrome della sinistra si sta abbattendo sul PD? Sembrerebbe di sì. La storia della sinistra nel nostro paese, ma non solo, è quella di continue scissione, che non riguardano soltanto il PD. Infatti anche a sinistra del PD si sta consumando qualcosa che somiglia ad una scissione, perchè Arturo Scotto con altri 16 parlamentari starebbe per abbandonare SI per confluire nel movimento di Giuliano Pisapia. Ma a ben guardare quanto sta accadendo nel PD ha particolari singolarità perchè più che una scissione vera e propria appare come un semplice ritorno al passato: da una parte gli ex DS e dall’altra quanti non si ritrovano pienamente in quella storia, anche se nel gruppo dei cosiddetti renziani non pochi sono quelli che hanno una giovanile militanza diessina. Gli ultimi avvenimenti, cioè quanto sta accadendo dopo la direzione di lunedì 13, sono difficilmente comprensibili se non attraverso una sorta di pregiudiziale rifiuto di una nuova politica esasperata da caratteriali incomprensioni. Sembra che qualunque cosa proponga Renzi ,anche quanto espressamente richiesto dalla minoranza dem, venga poi rifiutato.

E’ stato così per l’annunciato congresso del partito, richiesto pressantemente da Bersani e gli altri e poi quando concesso viene non accettato perchè considerato affrettato e con tempi troppo brevi. A proposito va ricordato che nel PD i tempi del congresso sono previsti dallo statuto. Così è avvenuto per i precedenti congressi ed è difficile comprendere i distinguo che vengono messi in campo ora. Come non ricordare che dopo il referendum del 4 dicembre fu proprio Michele Emiliano, il più acceso degli antirenziani, a chiedere a gran voce il congresso subito minacciando altrimenti le carte bollate. Ora perchè questo ripensamento ? Sembra doversi accettare la spiegazione che ne danno quelli che ritengono la minoranza dem contraria a prescindere qualunque cosa venga proposta dal segretario. Ma forse le ragioni più che caratteriali sono invece più profonde. Si tratta di due visioni della sinistra, c’è quella più ancorata al passato che vede la politica della sinistra legata ad un certo statalismo, alla spesa sociale ed ad una politica fiscale di mero carattere redistributivo e quella invece che si fa carico dello sviluppo e della creazione della ricchezza e più attenta ad offrire la eguaglianza delle opportunità senza certamente dimenticare la diffusione e l’ampliamento del welfare. C’è anche un atteggiamento diverso nei confronti dell’autonomia della persona e della società, che non può essere minimamente disattesa. Insomma c’è chi in nome della purezza ideologica intende sacrificare l’unità della sinistra condannandola a recitare perennemente il ruolo dell’opposizione e chi invece vuole esercitare pienamente quella cultura di governo che oramai la sinistra si è conquistata in Europa e non solo.

Non è stato così nel socialismo dell’ottocento tra massimalisti e socialdemocratici, non è stato così in Inghilterra tra i vari Blair e Corbyn, non è stato così in Germania tra i vari Lafonten e i Brandt e gli Schmit? Questa purtroppo è la storia della sinistra che conosciamo. Saremo capaci di non riproporla in Italia ?

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