DIS…CORSIVO. 4 NOVEMBRE 1919

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / “Nell’anniversario del più grande trionfo militare della Storia, l’Italia consacra i suoi lauri ai gloriosi Soldati e riafferma la volontà che i frutti della Vittoria non vengano dispersi dai nemici dell’ordine e della Società”. La prima ricorrenza della vittoria della Grande Guerra, il 4 novembre 1919, anche a Perugia fu salutata con grossi titoli (quello sopra riportato è tratto da “L’Unione Liberale” di 95 anni fa) e, come si adombra nei caratteri cubitali, con la preoccupazione dettata dall’imminente contesa elettorale politica, che contesa vera e propria era se il termine usato per definire, oggi, la campagna elettorale era, allora, espressamente “lotta elettorale”.

Quell'anno, dal 23 giugno era Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti, le elezioni politiche del 16 novembre avrebbero visto il successo dei socialisti, Nitti si dimise ma Vittorio Emanuele III lo confermò alla guida del governo.

Le elezioni del 16 novembre 1919, insomma, le prime a fare uso di una legge elettorale proporzionale, si presero del tutto la scena del primo anniversario della vittoria nella Grande Guerra. I toni, però, dell'enfasi e della magniloquenza non mancarono, proprio perché utili alla “lotta” elettorale: “Il quattro novembre perciò sia insieme augurio e festa. Augurio per la totale rivendicazione dei nostri diritti, festa, perché ricordi l'ultima fase dei sacrifici che dovemmo sopportare per acquistarli”, così si conclude l'articolo di fondo dell' “Unione Liberale” del quale ho riportato il vibrante titolo.

E, infatti, il 4 novembre 1919 era già stato dichiarato festivo solo pochi giorni prima, con il Regio Decreto del 19 ottobre 1919, n. 1888. Ma le cronache di Perugia e dell'Umbria non riportano particolari festeggiamenti per la giornata di oggi di 95 anni fa: solo, sulla stampa, la parola d'ordine della festa, preceduta, tragicamente, dall'augurio di arrivare alla “totale rivendicazione” dei diritti nazionali.

La politica non era ancora pronta ad impossessarsi del binomio composto dalla celebrazione della “vittoria mutilata”. In maniera quasi sommessa, però, l'amministrazione locale, con a capo la Provincia dell'Umbria, dei segnali di ricordo dei caduti li aveva già dati, votando, già nel febbraio del 1919, un Ordine del giorno così concepito: “Il Consiglio Provinciale dell'Umbria adunatosi per la prima volta dalla scorsa estate, esultante per la grande vittoria che ha restituito all'Umanità il libero esercizio dei suoi sacri diritti, rende onore all'Esercito, all'Armata, al Paese, al Re che furono di questa nuova gloria italiana gli artefici sommi; saluta i fratelli delle terre invase e irredente, affrancate dal loro martirio; afferma la italianità della costa orientale adriatica, affrettandone coi voti il ritorno in seno alla madre patria; dispone che siano in forma solenne celebrati gli Umbri che in guerra o per la guerra perirono, e i feriti e i valorosi; esprime l'augurio che alla più grande Italia la saviezza dei propositi e la concordia delle anime assicurino la felicità nella pace”.

Sarà, per il 1919, il 20 settembre la data del primo, grande ricordo dei caduti: per quel giorno saranno pronte le lapidi nel cortile del Palazzo provinciale, quel giorno, nella caserma Biordo Michelotti, saranno consegnate le onorificenze di guerra “alla Bandiera e ai valorosi del 51°”. Poi, sarà “lotta elettorale”, con il voto dei reduci conteso animosamente e ritenuto da molti determinante.

Forse, ma insieme a tante altre motivazioni della coscienza nazionale che dovevano portare a far emergere – per poi subito precipitare nelle spire della dittatura, di lì a tre ani – i moderni partiti di massa, organizzati e molto desiderosi di comunicare. In Umbria, i Partiti liberali (e altri) ebbero una grossa contrazione (si fermarono al 36, 3%, con 43.203 voti), a fronte del balzo del Partito Popolare (16,8 % con 20.073 voti) e del Partito Socialista (46,9 & con 55.837 voti).

Con questo spirito molto contraddittorio si chiude il 1919, il primo della celebrazione della vittoria nella Grande Guerra. La parola d'ordine, alla fine, più che “festa”, sembra “augurio”: augurio per rivendicare i diritti nazionali, come scrisse “L'Unione Liberale”, augurio di fare la rivendicazione, come scrisse il Consiglio provinciale, in un'ottica di pace. In mezzo, i partiti di massa che provano a nascere, i sistemi elettorali che non fanno più sconti a chi non è organizzato, le lapidi per i caduti nel Cortile della Provincia che già nel 1921 si cercherà di rimuovere perché ritenute non abbastanza degne del sentimento patriottico. E, per finire, il Regio Decreto del 23 ottobre 1922, n. 1354, che dichiara festa nazionale il giorno del 4 Novembre. Sotto la firma del sovrano, quella del Presidente del Consiglio, che non è più Nitti, ma Facta: un preludio alla Marcia su Roma di cinque giorni dopo.

I decenni seguenti diranno, fino ad oggi, con quale altalena di sentimenti e di intenzioni contrastanti, dalla retorica all'oblio, l'Italia ha continuato a stringersi intorno alla celebrazione del 4 Novembre e delle forze armate. E, anche oggi, più che di una festa, c'è bisogno di un grande augurio. Solo di un augurio, senza vantare più nessun diritto su niente e su nessuno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.