Dis…Corsivo. Benedetto dialetto

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / E poi dicono che il dialetto non è più una risorsa! A Perugia, invece – con quel “donca” prognatico e strascicato, ironico e sentenzioso sempre, sia che lo parlino per strada sia che lo gridino dalla Curva Nord del “Curi” -, il dialetto è ancora un’arma in più per chi vuole comunicare cose di una certa importanza alla città.
Lo sanno bene, a quanto pare, i nuovi Priori che, per addolcire la pillola dei disagi che saranno provocati dall’imminente rifacimento di un mare di arterie cittadine, hanno avuto la brillante idea di colloquiare con file e code di automobilisti su di giri attraverso due espressioni dialettali confidenziali: “Adè me fò bellino” e “Chi bello vol comparì, qualcosa ha da soffrì”, che saranno scritte sui cartelli all’inizio dei cantieri.
A pronunciare i due messaggi di pace rivolti alle persone che meno di altre mal sopportano i disagi dei lavori pubblici è un ridisegnato Grifo in chiave che più bonaria non si può, una specie di Asterix dell’Italia centrale alle prese con esercizi di ginnastica per smaltire una insolita pinguedine.
Il Grifo in mutande, simpatico e ammiccante, non lo avevamo visto mai, a meno di smentite da parte di autentici cultori della materia, capaci di rispolverare vecchie riviste umoristiche e fogli di impenitente satira perugina del tempo che fu.
In questo momento, l’animale emblema della città è stato reclamato nella piena disponibilità dal Comune stesso, non in quella di una qualunque, benemerita associazione dialettale perugina. Il Grifo in mutande è chiamato a rappresentare i valori civici cittadini della pazienza e della laboriosità e non, come facilmente si potrebbe ironizzare, una città ridotta sul lastrico. Si poteva disegnare, allora, un Grifo più atletico – obietterà qualcuno -, ma in quel caso si sarebbe perso il filo della necessità della cura abbellente e, dunque, dimagrante. Semmai, potranno dire i nuovi Priori, a ridurre in quel modo il Grifo sono state le amministrazioni precedenti, per cui, anche a costo di pesanti sacrifici nel tran tran quotidiano, è necessario tornare in forma. E la “forma” è rappresentata dalla levigazione del sistema viario cittadino, in coerenza con l’elogio della politica del fare che caratterizza da sempre le amministrazioni di centro destra.
Fin qui, dunque, tutto quadra e la fanciullesca, inedita visione del Grifo può riuscire anche accattivante e peruginescamente propria.
Ciò che, nell’operazione di comunicazione, mi lascia più di un dubbio è l’investimento, anche culturale, che con essa il Comune di Perugia ritiene di potere fare con successo, ricavandone un ritorno d’immagine positivo e produttivo per le proprie sorti politico-amministrative.
Adottando il tono dialettale, infatti, un’amministrazione che per la cultura, in un anno, non è riuscita a farci vedere la svolta rispetto alla precedente, ha incaricato il dialetto di:
dare un ridente tono culturale complessivo a una fredda impresa amministrativa, immedesimandosi con l’uomo della strada e con l’ampiezza media delle sue capacità culturali;
ricostruire il legame con i cittadini, dando per scontato (numeri da stadio?) che esistano ancora molti perugini, in centro e in periferia, in grado di recepire il messaggio della tradizionale bonomia del capoluogo;
disegnare, nel contempo, ad uso degli ospiti della città e dei molti trasversalismi culturali ed etnici che ci sono in giro, un tratto di autenticità indigena, calcando, forse, un po’ troppo la mano sulla identificazione del Comune stesso con la bonomia del Grifo in termini di valori universali.
Fossi nel concerto dei nuovi Priori, in ogni caso, non prenderei come una barzelletta la caricatura del Grifo in mutande, ma starei molto attento a verificare e valutare l’effetto che quei cartelloni ” Adè me fò bellino” e “Chi bello vol comparì, qualcosa ha da soffrì” produrranno negli automobilisti smadonnanti, nei pedoni inferociti, nei turisti perplessi, nei multietnici commenti dei nuovi inquilini di Perugia. Mi auguro di tutto, anche l’iconoclastia e lo sberleffo di rimando, purché non sia l’indifferenza per una barzelletta che, onestamente, ha, in sé, poco da far ridere.

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