DIS…CORSIVO CIVI(LI)TER

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / L’asse Civitavecchia-Terni, che passa per Viterbo e si spinge fino a Rieti, è nei sogni delle quattro amministrazioni comunali laziali e umbre da molto tempo ormai. Oggi conosce un nuovo impulso, uno scatto in avanti deciso e una proiezione da ipotesi riaggregativa dell’ “Italia di mezzo” su cui occorre riflettere in maniera più approfondita.

Un elemento è alla base di tutto e mi colpisce in maniera netta: i confini regionali rimangono, ma le spinte al loro attraversamento in molte direzioni e con molti obiettivi sono destinate a crescere sempre di più sulla base di rapporti fra Clomuni e forze economiche che le istituzioni, a mio parere, stanno sottovalutando.
Le Regioni, infatti, sono molto concentrate, specie in questo periodo a cavallo fra il 2014 e il 2015, in un'opera di ridistribuzione delle carte fra livelli di governo endoregionali tenuta calda dalla necessità di superare il parto delle nuove Province e di riorganizzare funzioni e competenze come mai era successo dal 1970 ad oggi. E hanno sullo sfondo, invece, l'orco delle macroregioni, che prima o poi imporrà un'architettura alla Nazione italiana così ardita da porsi come nuovo snodo epocale dopo quello della raggiunta Unità a seguito delle guerre risorgimentali. Prese fra questi due fuochi – un fuoc lherello, vicino, molto ardente e un bagliore, lontano, appena visibile ma che si preannuncia luminosissimo – le Regioni Umbria e Lazio sono consapevoli che la macchina del superamento dei confini di competenza territoriale e amministrativa si è ormai messa in moto?
Quando si parlava, due o tre anni fa, della riforma delle Province, qualche appassionato di storia locale si era messo in testa che, per guadagnare risultati degni di qualche considerazione sul piano del guadagno di spesa, si sarebbe potuto ripristinare l'antica Provincia dell'Umbria, riportando dentro i confini dell'attuale Regione anche la Provincia di Rieti, che era appartenuta all'Umbria dalla costituzione dello Stato unitario del 1861. Quella che, allora, altro non era che una provocazione, intercettava, in ogni caso, dei movimenti di opinione pubblica e delle necessità economiche che, oggi, come dimostra Civiter, non sono affatto tramontati. Le esigenze basilari di attraversamento dei territori regionali tornano in superficie e, se da un lato sono guidate dai vertici stessi delle istituzioni regionali quando si tratta di linee di trasporto su ferrovia o di infrastrutture, dall'altro sono mosse da istanze di base delle comunità locali alle quali danno voce i Comuni stessi in prima persona, senza il bisogno di scomodare le apicalità politicamente rappresentative delle rispettive Regioni.
Sono cinque i fronti sui quali i Comuni di Civitavecchia e Viterbo, Terni e Rieti – Civiter, appunto – hanno deciso di schierare i loro progetti: marketing territoriale legato soprattutto al tema delle imprese, con la collaborazione delle Camere di commercio; politiche di coesione nella progettazione per ottenere fondi europei; mobilità sostenibile e trasporti; smart city urbanistica e infrastrutture; osservatorio e carta dei territori.
C'è ambizione da vendere, c'è il coraggio di superare confini geografici pesanti per poter far circolare merci leggere e persone che altrimenti, sbarcando nel porto di Civitavecchia, non entrerebbero mai nella profondità della Tuscia e dell'Umbria, né nelle “latebre” del nord del Lazio.
Non possiamo dire, oggi, fino a che punto potrà svilupparsi questo disegno. Sono troppe le variabili con le quali hanno a che fare tanto le istituzioni regionali quanto i singoli Comuni. È però certo che, dal punto di vista di questi ultimi, sarà sempre più determinante la necessità di affrancarsi da una geografia e da una amministrazione disegnate a tavolino troppi anni fa e superate dagli eventi e dalla storia. Lo stesso superamento delle Province, se si vorrà puntare fino in fondo sul mantenimento delle funzioni residue e sul loro effettivo potenziamento, può preludere alla creazione di cornici nuove agli attraversamenti dei confini regionali dai quali nascerà, inevitabilmente, l'Italia della prima metà di questo secolo e dei quali Civiter è espressione embrionale. L'acronimo fa pensare, d'istinto, all'avverbio latino “civiliter”, porta cioè in qualche modo con sé la radice di cittadini buoni e affabili, dediti alla legalità. Quelli dell'Italia di domani, identificati plasticamente in un'unica parola presa dalle iniziali delle loro quattro città, alla quale manca, però, se non leggo male, un forte segno per individuarne una, Rieti, che vi sfido a trovare a fronte della forza che hanno le altre tre: Civitavecchia, Viterbo, Terni. Una sola “r” per dire Rieti: non sarà poco? Anche l'Italia di domani avrà di questi squilibri?

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