Gubbio, il vescovo Ceccobelli celebra la Messa finale del sentiero di Francesco

GUBBIO –  La diocesi di Gubbio e il pellegrinaggio a piedi Assisi-Gubbio “Il Sentiero di Francesco” ospitano quest’anno l’evento nazionale della Chiesa italiana nella Giornata per la custodia del Creato.

La santa messa in questa ricorrenza è stata trasmessa in diretta su Rai Uno, alle ore 10,55 di oggi, dalla Chiesa di San Francesco. E’ stata presieduta dal vescovo di Gubbio, mons. Mario Ceccobelli, e concelebrata da mons. Fabiano Longoni (direttore nazionale dell’Ufficio problemi sociali e del lavoro della Conferenza episcopale italiana), da mons. Mario Lusek (direttore nazionale dell’Ufficio tempo libero, turismo, sport e pellegrinaggi della Cei) e da altri sacerdoti arrivati a Gubbio in questi giorni da varie diocesi italiane.

Ecco il testo integrale dell’omelia pronunciata da mons. Ceccobelli.

OMELIA INTEGRALE MONS. MARIO CECCOBELLI

Carissimi, sentimenti di profonda gioia e piena gratitudine nei confronti del Signore pervadono il mio animo in questa Domenica nella quale concludiamo la 9° edizione del pellegrinaggio francescano e celebriamo la 12° Giornata per la Custodia del Creato.

 Un antichissimo testo, definito per la sua finezza linguistica la “perla” della letteratura cristiana antica, è lo scritto A Diogneto. In quest’opera, in cui l’autore cerca di dar ragione della fede e della vita cristiana a coloro che ancora non avevano fatto esperienza di Gesù, i cristiani vengono definiti pellegrini, uomini in cammino verso la vera Patria, cioè il Regno del Padre.

Pellegrini, ovvero uomini in cammino, mi sembra essere proprio la parola chiave di questa liturgia, che ci offre la possibilità di coglierne tre significati.

 Il primo ci viene offerto dal messaggio che la Conferenza Episcopale Italiana ha promulgato per la Giornata per la Custodia del Creato.

I vescovi parlano del Turismo sostenibile, esortando non solo i fedeli, ma anche gli uomini responsabili delle sorti dell’umanità, a custodire e difendere il creato, palesemente in fase di pauroso degrado e depauperamento.

Ecco allora un primo significato del nostro essere pellegrini: uomini in cammino sulla terra, riconosciuta come un dono di Dio e per questo da rispettare, difendere e custodire.

 “Pellegrini” mi sembra essere anche la parola chiave per noi che abbiamo camminato sulle orme di Francesco. Partendo dal Santuario della Spoliazione in Assisi e in tre giorni raggiungendo Gubbio, abbiamo percorso lo stesso itinerario che fece Francesco nell’inverno 1206/07, quando scelse di trasferirsi a Gubbio, forse attratto dalla fama di santità del vescovo Ubaldo morto qualche decennio prima, sulla cui tomba accorrevano numerosi pellegrini per chiedere la sua potente mediazione presso il Signore.

Francesco, probabilmente, si fece pellegrino per visitare la tomba del Santo Vescovo eugubino e qui iniziò la sua vita nuova mettendosi al servizio dei lebbrosi che vivevano nella periferia della città.

Nel processo che Pietro di Bernardone volle fare davanti al vescovo Guido, Francesco restituì al padre gli abiti e rinunciò, oltre alla sua eredità, anche alla sua paternità.

Pregando davanti al Crocifisso di San Damiano aveva scrutato il mistero di amore di Dio, ne era rimasto affascinato e penetrato.

Tutto ora gli appariva diverso, tutto quello che contemplava era opera meravigliosa di Dio, tutto gli parlava di Lui, tutto era bello, tutto era puro, tutto era prezioso, tutto doveva essere amato. Ecco che ci viene offerto un secondo significato del nostro essere pellegrini: uomini, che liberi dalle passioni umane, sono alla ricerca dell’amore del Padre.

 Ma è la Parola di Dio che ci offre la pienezza del significato del nostro essere pellegrini. Nel vangelo incontriamo il vero Pellegrino, Gesù, che comincia a spiegare i motivi per i quali deve dirigersi decisamente a Gerusalemme. E così i discepoli e in particolare Pietro hanno la possibilità di scoprire la vera identità di Gesù: il carpentiere di Nazaret non è altro che il Cristo, l’unto di Israele, la realizzazione dell’attesa, lunga duemila anni, del suo popolo.

Ma Pietro interpreta la missione di Gesù in termini politici. Gesù se ne rende conto e spiega che tipo di Messia sarà: andrà a Gerusalemme per soffrire, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno. Ciò è troppo per Pietro: nel suo spirito, l’idea di sofferenza e l’idea di Messia sono incompatibili fra loro. Gesù severamente lo corregge: «Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

Carissimi, ecco il significato più alto del nostro essere pellegrini: credenti alla ricerca della vera identità di Dio. Nella nostra difficoltà a comprenderla noi spesso deformiamo la sua immagine, ci rifiutiamo di lasciare che Dio sia Dio.

Il nostro Dio è troppo piccolo, troppo fragile e troppo limitato, mentre il Dio di Gesù Cristo è troppo bello per essere vero.

Sulla croce, Gesù rivelerà il vero ritratto di Dio nel dramma della misericordia che vince il peccato, dell’amore che supera la morte e della fedeltà divina che cancella il tradimento.

Noi, che accogliamo le rivelazioni del Vangelo, nel nostro cammino cerchiamo di essere pellegrini che riconoscono la terra come dono, che la vivono alla ricerca dell’amore di Dio, come fece Francesco, per giungere alla contemplazione del vero volto divino: un Dio uomo che non rifiuta la sofferenza per la salvezza di tutti gli uomini.

La Vergine, Madre di Dio, ci ottenga la grazia di far esperienza viva di questo volto divino e di esserne testimoni sull’esempio di Francesco.

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