Di Maio e la dura legge del governare

di Pierluigi Castellani

Le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico del movimento e da capodelegazione dei 5Stelle nel governo Conte dovrebbero far riflettere intorno a quella che sta apparendo come la inesorabile parabola dei grillini. Di Maio si è dimesso dopo aver dovuto amaramente constatare quale distanza enorme esista tra l’affollare le piazze dei Vaffa e la dura esperienza del governare. Quando si passa con leggerezza e disinvoltura dall’ antipolitica alla politica senza un serio e strutturato bagaglio programmatico per affrontare i concreti problemi di un paese come l’Italia si finisce per forza per deludere gli elettori e per dover constatare, che non basta assecondare le piazze nel loro furore iconoclasta per governare una realtà complessa come la società di un paese, membro del G7 e che rappresenta la seconda manifattura d’Europa. Aizzare la piazza come fanno tutti i demagoghi di turno, alimentare odio sociale contro la presunta casta dei politici e poi trovarsi improvvisamente proprio ad essere rappresentante di quella casta, che prima si è combattuta, può essere un triste risveglio, che genera delusione e sbandamento, perché non potendo tornare al passato ci si trova di fronte ad un futuro dagli incerti contorni.

C’è una frase pronunciata da Di Maio al Tempio di Adriano, che è rivelatrice di questo stato d’animo e che prelude, così si spera, ad una necessaria nuova comsapevolezza. “Basta anche alle ambiguità sulle infrastrutture. – ha detto Di Maio – Non è possibile che su alcuni territori, appena si parla di una nuova opera, ci schieriamo subito dalla parte del no.” C’è in queste parole la presa di coscienza che è troppo facile dire di no e contrapporsi a quanto inevitabilmente può incontrare qualche ostilità e poi trovarsi a rispondere delle scelte che si fanno quando è necessario farsi carico dell’interesse pubblico generale del paese e confliggere con particolarismi e localismi. Un grande paese come il nostro è un variegato incastro di interessi, di segmenti, che se non armonizzati tra di loro possono saltare in aria ed alimentare focolai, che poi è difficile spegnere. E’ compito della politica, quella con la P maiuscola, tenere insieme e comporre i contrasti. Di questa difficoltà si sta accorgendo il movimento 5Stelle . Non basta aver annunciato dal balcone di Palazzo Chigi di aver sconfitto la povertà e poi accorgersi che c’è ancora molto da fare per combattere le disuguaglianze e le emergenze sociali. Quando si è in difficoltà, come ha dovuto constatare l’ex capo politico dei 5Stelle, si può  rimanere a coltivare disillusioni e rancori oppure si può prendere atto della necessaria serietà nell’affrontare i compiti della politica. Siamo comunque in una stagione che non tutti sembrano aver compreso questa dura lezione. Vediamo il capo della Lega saltare da nord al sud dell’Italia rincorrendo ed alimentando i suoi temi preferiti: i pericoli dell’immigrazione, i fantomatici poteri forti, le paure delle periferie e delle zone rurali, impegnato in una perenne campagna elettorale, che non ha mai fine. Vuole essere messo alla prova, anzi vuole i pieni poteri, ma dimentica di aver governato l’Italia per parecchi anni insieme ai suoi alleati del centrodestra ed ora dall’opposizione si scandalizza anche per atti che lui stesso e il suo partito hanno assecondato ed approvato appena qualche mese fa come la riforma, quella della giustizia, del ministro Bonafede. Speriamo che gli elettori italiani non abbiano la memoria corta e non rimangano prigionieri di questa sbornia demagogica, che sta devastando la politica italiana. Forse anche quanto sta accadendo ai 5Stelle può essere utile a tutti, può servire a spingere i nuovi attori sociali ad un approccio più serio, più meditato, alla politica.